Il musicista vincitore del Grammy è in Italia e ci racconta il suo ultimo progetto, i cinquant’anni di carriera e il suo approccio alle nuove tecnologie. “Paco de Lucía era un genio, Chick Corea un fratello. I miei show di cucina sui social? Per me è come comporre”
Cosa trasforma un chitarrista in un supereroe? Per Brian May è l’emozione, per Jimmy Page è l’unicità. C’è chi con la chitarra dipinge paesaggi sonori come David Gilmour, chi racconta storie senza parole come George Harrison. E chi, come Al Di Meola, riesce a fare entrambe le cose. Chitarrista, compositore e produttore vincitore di un Grammy Award nel 1976 con il disco “Romantic Warrior” insieme ai Return to Forever guidati da Chick Corea. Membro nella prima metà degli anni ’80 del supergruppo di chitarristi insieme allo spagnolo Paco De Lucia e all’inglese John McLaughlin. Una carriera solista coronata da dischi d’oro e di platino e da innumerevoli premi e collaborazioni: da Paul Simon a Carlos Santana. Ma la fiamma che ha acceso l’amore di Albert Laurence Di Meola per le sei corde è stata una “chitarra acustica economica” imbracciata per la prima volta a 8 anni.
“Non era accordata neanche lontanamente ma c’era qualcosa di magico nel modo in cui il suono vibrava sul mio corpo”, racconta al Foglio il musicista che, dopo le date di Cremona e Milano concluderà il suo mini tour italiano al Vicenza Jazz venerdì 16 maggio. Così, la musica “è diventata la mia via di fuga e la mia ossessione”.
Il suo ultimo album è “Twentyfour”, concepito nel periodo Covid. Come lo descriverebbe?
“Twentyfour” è un album profondamente personale. Quando il mondo si era fermato a causa del Covid, ho avuto il tempo di riflettere e di riconnettermi con la musica per il puro gusto di esprimermi. Non è solo un album per me ma una cronaca di emozioni, paure, speranze e riscoperte.
Ha detto che la sua creazione è stata “terapeutica”. In che senso?
Scrivere questi brani mi ha aiutato a elaborare l’ansia e l’isolamento che mi hanno accompagnato durante la pandemia e durante il periodo in cui ho avuto l’infarto. Suonare mi ha portato una profonda pace, è stata una forma di guarigione. Quando si è costretti a rallentare, o si crolla o si va in profondità. E io ho scelto la seconda.
Nel 2020 invece pubblicò “Across the Universe”, il suo tributo ai Beatles. Ma lei ascolta anche qualche artista attuale?
Assolutamente sì. Tengo sempre le orecchie aperte. Artisti come Jacob Collier, Snarky Puppy e persino Billie Eilish. Ma i Beatles saranno sempre in una classe a sé stante. La loro musica è senza tempo e hanno plasmato il mio DNA musicale.
Lei ha suonato con Paco de Lucía e Chick Corea, che ricordi ha di loro?
Ne ho infiniti. Paco era un genio con un fuoco e un’eleganza senza pari. Mi manca profondamente. Chick era come un fratello, un mentore e una costante fonte di ispirazione. Il tempo trascorso in tournée, le registrazioni, sono state alcune delle esperienze musicali più ricche della mia vita. Ho imparato molto da entrambi e li porto con me ogni volta che suono.
Nel 1976 il disco “Romantic Warrior” ha vinto il Grammy come miglior album jazz. Se lo aspettava?
No, per niente. Eravamo solo concentrati a spingere i confini musicali e a divertirci nel farlo. Quell’album era audace: fondeva rock, jazz e classica in un modo che non era mai stato fatto. Il Grammy è stata una bellissima sorpresa, soprattutto perché avevo soli 20 anni.
Secondo lei l’intelligenza artificiale cambierà il modo di fare musica nei prossimi anni?
L’intelligenza artificiale è affascinante. Ma per me la musica è anima, sfumatura, imperfezione umana. Nessuna macchina può replicare l’emozione che c’è dietro una nota che proviene da un luogo di esperienza e vulnerabilità. Potrei esplorare tutti gli strumenti di intelligenza artificiale per curiosità, ma non cambieranno il mio modo di creare.
Qual è il suo rapporto con i social media?
Sono un’arma a doppio taglio. È un ottimo modo per entrare in contatto con i fan e mostrare chi sono al di là della chitarra, ma cerco di non lasciare che prenda il sopravvento sulla mia vita.
Lei però pubblica spesso i suoi piatti online. Da dove nasce questo amore per la cucina?
Per me cucinare è come comporre: si stratificano le consistenze, si bilanciano i sapori, si cerca l’armonia. Le mie radici italiane hanno sicuramente plasmato questa passione.
È un grande tifoso del Napoli. Pensa che i biancoazzurri riusciranno a vincere la Serie A quest’anno?
Amo il Napoli, una squadra che ha talento, cuore e passione. Però la Serie A è sempre imprevedibile. Sono fiducioso, come sempre, e forza Napoli!