Interviste a raffica, come Tajani, retorica, geopolitica e autocelebrazioni. Ma sui dazi spiega che “la competenza è europea”. L’informativa di Urso, un ministro superlativo
Roma. Manca poco e dice che i dazi sono una pacchia. E’ tornato il ministro aggettivo, Ursolativo, Adolfo Urso, il “daziario”. Parla per trentasette minuti, l’Urso time, per ricordare che lui, già nel 2000, era stato “un protagonista” degli accordi bilaterali, che l’intervento del governo è “tempestivo”, il momento, “cruciale”, che l’impatto dei dazi sull’Italia è del 10 per cento, ma che si esporta a meraviglia perché “i dazi non hanno avuto effetti negativi”. Al minuto due premette che è disponibile a parlare di ex Ilva (“domani”) al minuto trentasei, in zona Acerbi, il calciatore, avvisa che dobbiamo mantenere alta la guardia. Non si placa. In ventiquattro ore ha rilasciato tre interviste, due in meno di Tajani (cinque colloqui a basso forno) e insieme gareggiano per la Palma come miglior ministro non protagonista 2025, la Cannes di Meloni.
Viene in Aula, per informare sull’impatto dei dazi, ma dopo mezz’ora non si capisce se il dazio per i cronisti sia lui, l’Urso “daziario”. Per far dimenticare che su Ilva, l’altoforno spento, “caro, ministro, ha scaricato le responsabilità alla procura di Taranto, venendo smentito dalla stessa procura” (lo dice il deputato Pd, Vinicio Peluffo) rilascia ben tre interviste, tre, a Sole, Mattino, Nuovo Quotidiano di Puglia. Sono tre interviste nontiscordardimé che si elidono a vicenda come i cinque colloqui di Tajani sull’assenza di Meloni a Kyiv che hanno fatto infuriare la premier, ben più di Giuseppe Conte, l’ abile tragediauturi, avrebbe detto Camilleri, il matt-attore che chiede in Aula “silenzio per i bambini di Gaza”. Sono tornati i Narcisi di Meloni.
Il beniamino, l’unico giustificato, è Francesco Lollobrigida atteso per il suo torneo di padel, in notturna (dicono che sia un fenomeno) l’altro, Tajani, è in missione all’estero, e poi c’è lui, Urso, Ursolativo, il super. Il suo portavoce, Giuseppe Stamegna, rinominato Stoicamegna, per la pazienza, da pochi giorni ha abbandonato l’incarico, spontaneamente, e non si esclude che lo assuma in Vaticano Papa Prevost, per le virtù dimostrate. Attenti, torna il governo frizzantino, con la teina, e non solo perché Meloni, prima del premier time, chiede ai camerieri della buvette la bevanda (il buvetteman: “un tè tiepido per Meloni!”).
Ritorna la teina perché, pensa Enzo Amendola, l’ex ministro, già sottosegretario del governo Draghi, “Meloni per sua volontà si è messa fuori dal grande gioco. Ha trascurato l’asse con Merz, ed è questo che ha provocato la reazione di Tajani la sua frase al Corriere ‘chiedete a lei, a Meloni, perchè a Kyiv non c’era’”. Ucraina e Russia negoziano oggi in Turchia, Trump-Starmer firmano l’accordo sui dazi, l’asse Macron-Merz si salda mentre qui si brucia come legna l’avverbio Urso, si alimenta la prosa del vecchio tenore missino.
Dice Urso, accompagnato dal sottosegretario leghista Massimo Bitonci (il ministro Ciriani, buonuomo, preferisce ascoltare fuori dall’emiciclo) che “bisogna unire e non dividere l’Atlantico”, “evitare la reazione di pancia”, “agire piuttosto che reagire” e che bisogna “evitare la spirale daziaria”, perché il contesto “è in forte movimento”. Sì, ma i dazi? Risponde Urso daziario che le esportazioni sono perfino aumentate (ma per fortuna lo spiega: c’è stata la corsa alle scorte). E l’acciaio, l’alluminio? Ancora una risposta da Urso daziario: “E’ un mercato marginale e in ogni caso i nostri prodotti sono di alto valore”. La farmaceutica? Il daziario fa sapere: “Trump ha annunciato misure draconiane per abbassare i prezzi dei farmaci e molte imprese farmaceutiche producono qui in Italia”.
Legge degli appunti come Papa Leone XIV ma Urso, al contrario di Leone, non disarma Cicerone. Si getta sulla metafora alla Conrad, perché, dice, “quando il mare è in tempesta bisogna guardare la bussola, e seguire la rotta, non farsi trascinare dai venti”. E’ la retorica, la vecchia retorica da Fondazione Farefuturo, il vero limite di Fratelli d’Italia. Non è vero che FdI “non ha classe dirigente”, semmai, il vero guaio è che Meloni si ritrova una classe di ministri, come Urso, deputati, che volevano fare tutti i giornalisti e gli scrittori. Gli intellettuali. Hanno così voglia di intervenire, in Aula, di essere protagonisti, come Ursolativo, che è Urso stesso a invocare un altro appuntamento sull’ex Ilva, che è un dramma serio (“io sono disponibile per un’informativa su altri argomenti, basta dirlo”). Ancora e ancora. Se potesse sostituirebbe pure Tajani perché “gli Stati Uniti – dice il nostromo Urso – non sono solo un partner ma un alleato strategico e la bussola deve essere sempre l’occidente”. Il leghista Bagnai si complimenta per l’ “ampiezza geopolitica” di Urso, poi attacca Draghi perché oggi lo spread “è la metà di quando c’era lui, Draghi”. Trentasette minuti evaporano così, in una frase finale di Urso, quasi testamentaria: “E comunque ricordo che politica sui dazi è di competenza europea”. Trentasette minuti per arrivare a una profonda verità: ma io, che ci posso fare?