I ragazzi del 40 per cento. Ecco chi c’era nei giorni del Jobs Act

Chi voterà cosa al referendum, tra ex renziani, riformisti, calendiani e fedeli ai cinque sì di Elly Schlein. Un album sfasciato

Roma. Furono un tempo, nel 2014, i ragazzi del 40 per cento. I giovani fautori del Jobs act. I vincenti del Pd, insomma, che sotto l’egida di Matteo Renzi sfiorarono picchi elettorali a oggi persi in nuvole e memorabilia. Ed ecco, a proposito di ricordi – e di Jobs Act appeso a un filo – ecco che a vedere la foto scattata dopo la vittoria alle elezioni europee di undici anni fa, una domanda s’impone.

Cosa voteranno quei ragazzi lì – i ragazzi del 40 per cento immortalati al Nazareno – al referendum dell’8 e 9 maggio prossimi? Quali sì e quali no croceranno gli ex renziani? Che ne faranno, soprattutto, del Jobs Act? Gli attuali riformisti del Pd hanno già detto la loro in una lettera su La Repubblica. Filippo Sensi, Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno e Lia Quartapelle sceglieranno il “sì” sul quesito sulla cittadinanza e sulle imprese appaltanti.

Ma si asterranno – precisano – sugli altri tre che puntano ad abrogare parti della riforma del lavoro che s’appuntò al petto il fu premier Matteo Renzi. Ma allora – tornando alla foto – cosa voteranno, invece, i cattolici d’area Castagnetti-Delrio? E poi i confluiti in Azione di Carlo Calenda? Loro che si sono reinventati, riassestati, che hanno trovato un loro posto nel mondo?

A sfogliare l’album dei ricordi, la diaspora post-renziana comincia, a sinistra, da Silvia Costa, storica democristiana a ridosso d’un palo. Pensosa allora come ora dacché i cattolici non voteranno i cinque sì come Schlein. Ma neppure i due sì come i riformisti. Ci penseranno. Appena accanto – a proposito di diaspore – c’è Francesco Nicodemo, responsabile della comunicazione del Pd tra il 2013 e il 2014, titolare oggi dell’agenzia di comunicazione “Lievito” che è stata dietro l’ultima campagna elettorale dell’attuale sindaca di Perugia: delle sue croci si specula, ma poco si sa. Stesso vale per Filippo Taddei, responsabile dell’Economia dal neoeletto Renzi, oggi manager in Goldman Sachs.

E in linea coi riformisti chi c’è? Ovviamente Alessia Rotta, ex deputata renzianissima, poi non rieletta, attuale assessora a Verona della giunta di Damiano Tommasi. Non croceranno contro il Jobs Act la riformista Simona Malpezzi, né l’ex ministra della Difesa Roberta Pinotti (ora impegnata a Genova), né il contiguo, attuale calendiano, vicepresidente di Azione, Ettore Rosato.

Indubbio yesman, invece – nel senso dei cinque sì – è l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, fedele a Schlein per interposto Franceschini. Nella foto si vede, poi, un allora onorevole Ernesto Carbone, oggi membro del Csm in quota Italia viva sicché in linea con la prescrizione di Renzi: un sì, due no, due voti in liberà. La festante (in foto) Federica Mogherini, oggi rettore del College of Europe, nelle previsioni non perviene. Altra storia, ovviamente, per Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Alessia Morani (presto candidata nelle Marche con Matteo Ricci) e assai probabilmente per Luigi Zanda (all’epoca capogruppo): essi seguiranno il solco riformista già tracciato su Rep.

Nella foto spicca poi la bella della festa, Maria Elena Boschi, il cui voto, come quello di Davide Faraone e Francesco Bonifazi – anch’essi confluiti in Italia viva – non è segreto. Per i cinque “schleiniani” sì – e dunque per smantellare il Jobs Act – sono i lì presenti Chiara Braga, attuale capogruppo alla Camera, e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Dietro Chiara Braga, ci dicono, fa capolino l’orecchio di Nico Stumpo: ancora cinque sì. Seguono, da quanto risulta al Foglio, i due “giovani turchi”: Matteo Orfini e Francesco Verducci. Del fu ministro dello Sport Luca Lotti (governo Gentiloni), oggi direttore dell’Empoli Calcio, si pensa che i sì non saranno cinque. Di Deborah Serracchiani è cambiato il taglio di capelli (all’epoca lunghi), il ruolo (al tempo responsabile della Giustizia). Ma il suo voto? E’ un segreto.

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