Il presidente americano incontra leader di Damasco a Riad e lo definisce un “vero combattente”. Via le sanzioni per dare respiro all’economia della Siria, che in cambio offre la normalizzazione delle relazioni con lo stato ebraico
“Fantastico, molto bravo, un ragazzo giovane e attraente, un duro, con un passato importante, un combattente, ha buone possibilità di farcela”. Sull’Air Force One che lo portava da Riad a Doha, Donald Trump ha confermato ai giornalisti le buone impressioni ricevute dallo storico incontro avuto oggi in Arabia Saudita con il presidente siriano Ahmad al Sharaa. Parole dolci come il miele, per “il duro” “con un passato importante” che non ha solamente posto fine a un quarantennio di dittatura assadista in Siria, ma viene da una storia barcamenata fra al Qaida e Stato islamico. Ma proprio perché è “un combattente”, ha aggiunto Trump, “devono ancora mettersi in carreggiata. Gli ho detto: ‘Spero che ti unisca a noi una volta sistemato il problema’. Hanno ancora molto da fare”.
Tutto è successo nel giro di poche ore. Martedì sera Sharaa si era precipitato all’aeroporto di Damasco per volare a Riad, dove Trump, prendendo di sorpresa tutti, aveva appena rivolto un discorso storico per le sorti della Siria. “Darò l’ordine di rimuovere le sanzioni per dare loro l’opportunità di ricostruire”. Dalla capitale ad Aleppo, passando per Homs e Hama, migliaia di siriani si sono riversati per le strade a festeggiare il 13 maggio, una data destinata a essere ricordata come una seconda liberazione dopo quella dell’8 dicembre scorso, che portò alla caduta della dittatura di Bashar el Assad.
Così, mercoledì mattina Sharaa ha incontrato Trump a Riad con la benedizione del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS), che il giorno prima batteva le mani commosso mentre Trump annunciava di essere pronto a rimuovere le sanzioni. L’incontro di mercoledì con Sharaa si è aperto con una stretta di mano, le foto di rito che mostrano i tre leader – Sharaa, Trump e MbS – insieme e sorridenti. Il vertice è proseguito in forma privata con la partecipazione per via telefonica dell’altro grande sostenitore di Sharaa, Recep Tayyip Erdogan. Ma se è il presidente turco a confermarsi il vincitore della partita sul dossier siriano, dall’altra parte è il premier israeliano Benjamin Netanyahu a rimanere spiazzato dall’accelerazione imposta da Trump. Mercoledì mattina, il Times of Israel riferiva che in occasione del suo viaggio a Washington del mese scorso, Netanyahu avrebbe chiesto espressamente al presidente americano di non rimuovere le sanzioni a Damasco. Una richiesta rimasta inascoltata, come dimostrò sin da subito il tono sprezzante con cui Trump, in conferenza stampa, chiese pubblicamente al premier israeliano di essere più “ragionevole”.
Karoline Leavitt, addetta stampa della Casa Bianca, ha fornito i dettagli, alcuni clamorosi, del colloquio di Riad con Sharaa. Il primo, il più sorprendente, è la disponibilità espressa dalla Siria ad aderire in futuro agli Accordi di Abramo e di normalizzare le relazioni con Israele. A dare concretezza all’offerta di Sharaa ci sarebbe la sua disponibilità immediata a collaborare con Israele nella guerra al terrorismo palestinese nel territorio siriano. Su questo punto, Sharaa ha già dimostrato di essere più che volenteroso, come dimostra l’arresto, il mese scorso, di due leader del Jihad islamico che avevano preso parte all’attacco del 7 ottobre. A testimoniare che normalizzare le relazioni con Israele non è più un tabù, nemmeno per un ex jihadista convertitosi alla moderazione come Sharaa, era stato lo stesso presidente siriano la settimana scorsa. Nel corso della sua prima visita ufficiale in Europa, a Parigi da Emmanuel Macron, aveva confermato che dialoghi indiretti con lo stato ebraico sono già in corso. E’ probabile che la questione principale sul tavolo sia quella dei drusi, che nel sud della Siria coltivano attriti profondi con il nuovo governo di Damasco.
Per Netanyahu, Sharaa ha dimostrato la sua vera natura sopendo con violenza i malumori dei drusi e delle altre minoranze. Il premier israeliano ha scoperto che il suo scetticismo sul ravvedimento di Sharaa e sulle buone intenzioni di Erdogan in Siria non è condiviso da Trump e teme di essere lasciato solo dal presidente americano.
Un altro punto su cui Sharaa ha espresso una buona predisposizione è quello della lotta a ciò che resta dello Stato islamico. Il governo siriano è pronto a chiedere formalmente agli americani di restare nel paese con i loro tremila uomini impegnati nella lotta ai terroristi. Della gestione dei campi di detenzione dell’Isis dovrebbero occuparsi le Forze armate siriane, con Erdogan che ha detto di essere pronto a dare aiuto. La richiesta non è una semplice formalità perché di fatto spinge Damasco a prendere una posizione netta dalla parte degli americani spingendo i russi fuori dalla Siria. La flotta navale di Mosca e la base aerea di Latakia, fulcro dell’influenza militare nel paese ai tempi di Assad, sono in fase di smantellamento e Vladimir Putin deve prendere atto di avere perso un accesso strategico al Mediterraneo. Il capitolo delle relazioni fra Sharaa e il Cremlino resta però aperto. Le trattative sul futuro del porto di Tartus non si sono mai fermate del tutto e, anche dopo la caduta di Assad, la flotta fantasma russa ha più volte fatto scalo al terminal siriano di Banyas per scaricare gasolio, di cui il paese ha un disperato bisogno.
La richiesta di Trump che Sharaa farà più fatica a esaudire riguarda lo smantellamento delle unità straniere dalle Forze armate siriane, le brigate caucasiche che sono state decisive nell’offensiva contro Assad. Chiedere loro di deporre le armi e lasciare adesso il paese dopo avere combattuto con tanta efficacia non sarà facile.