Qualcosa di magnanimo e di solenne nella decisione del Pkk

Il partito ha deliberato il proprio scioglimento e la fine della lotta armata, perché “ha compiuto la sua missione storica”. Erdogan ha salutato benevolmente la svolta, ora le carte sono tutte nelle sue mani. Che forse userà per persuadere la sua base e i suoi alleati per assicurarsi la presidenza a vita

La Turchia è la dittatura di successo in cui gli oppositori, anche e specialmente quelli che di volta in volta mostrano di poter avere con sé la maggioranza dei suffragi, finiscono brutalmente in galera. E’ così per il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoglu, incarcerato dallo scorso 19 marzo. E’ così da nove anni per Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdag, copresidenti del HDP, il Partito Democratico dei Popoli, filocurdo e di sinistra ecologista, femminista, federalista. E’ così da ventisei anni per Abdullah Öcalan (1948), il fondatore nel 1978 del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che da più di vent’anni ha abbandonato la sua ortodossa formazione marxista-leninista per un eclettico programma libertario, egualitario, femminista, ambientalista, municipalista e antistatalista, che ha cercato corrispondenza nel confederalismo democratico del Rojava e degli yazidi del Sinjar-Shingal.

Il XII Congresso del Pkk, appena tenuto clandestinamente, al riparo dalla repressione turca come da quella del Pdk curdo-iracheno di Erbil, nella cui montagna di Qandil i combattenti del Pkk hanno da sempre avuto le loro basi in un arduo esilio, ha deliberato il proprio scioglimento e la fine della lotta armata: “Il Pkk ha compiuto la sua missione storica”. Il portavoce del dissolto partito ha ricordato che non c’è alcun accordo formale fra il Pkk e lo Stato turco, e che “gli sviluppi futuri dipendono per intero dalle misure legali e politiche assunte dallo Stato. Il leader Öcalan avrà la supervisione dell’attuazione di questo processo, purché sia in condizione di essere liberato dalla prigione e messo in grado di operare liberamente in un ambiente sicuro”.



C’è qualcosa di magnanimo e di solenne in questa decisione, presa in un contesto così duramente repressivo e al tempo stesso così mosso, basta pensare alla nuova situazione della Siria. E alla Turchia di Erdogan, nella cui capitale, sottratta violentemente al suo sindaco, per domani ha confermato il suo arrivo il presidente ucraino Zelensky. Erdogan ha salutato la decisione “storica” del Pkk, “un passo importante per la sicurezza nazionale e la fratellanza del popolo”. Le carte sono tutte nelle sue mani. Le mani di un baro. Che forse le userà, persuadendo “dolcemente” la sua base e gli alleati della destra islamista, per assicurarsi la presidenza a vita. Forse per schiacciare più facilmente i suoi nemici: lasciare in galera oppositori che hanno unilateralmente consegnato le armi materiali e politiche può essere una irresistibile tentazione.

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