L’AI gioca a tennis (e perde solo contro il talento)

Così si trasforma uno sport. L’intelligenza artificiale è già dentro il tennis: nelle statistiche, nelle strategie, negli allenamenti e persino nel coaching. Non sostituisce i campioni, ma li spinge a essere ancora più umani

Quando ci sediamo al Foro Italico, sotto il sole romano di maggio, quello che ci aspettiamo di vedere è sempre la stessa cosa: una racchetta, una palla, due gambe scattanti e un gioco che, nonostante i milioni di euro, sembra sempre appartenere più al corpo che alla macchina. Il tennis, rispetto ad altri sport, ha conservato una certa aura romantica. Il silenzio del pubblico, l’uno contro uno, la solitudine del campo. Eppure, anche qui, dove tutto sembra dipendere da un rovescio incrociato ben piazzato, l’intelligenza artificiale è già entrata. Silenziosa, trasversale, onnipresente. E se il tennis non è ancora diventato una partita fra robot, è solo perché la parte decisiva, per ora, la giocano ancora i nervi.

La prima cosa da sapere è che nel tennis di oggi non si gioca mai veramente soli. Ogni match è preceduto da ore, giorni, settimane di preparazione dati. L’AI entra qui: nell’analisi preventiva. Cosa fa l’avversario sul 30-40? Dove serve il 75 per cento delle volte quando è sotto pressione? A che altezza media colpisce la palla con il dritto? A occhio nudo non si vede nulla. Ma sistemi come quelli usati da IBM Watson, ormai integrati nei grandi tornei come Wimbledon, sono capaci di costruire profili completi di ogni giocatore. Non si tratta solo di statistiche grezze. Si parla di mappe dinamiche, modelli predittivi, cluster di comportamento. L’AI riconosce le abitudini come farebbe un osservatore instancabile e infallibile. Non si stanca, non si distrae, non dimentica.

In alcuni casi, questi dati vengono restituiti ai giocatori sotto forma di consigli durante l’allenamento. “Serve più profondo, gioca più stretto sul rovescio”. Non è il coach a parlare, ma una voce sintetica che si basa su migliaia di dati incrociati. Alcuni software sono in grado di suggerire schemi tattici ottimali in base all’avversario, al tipo di campo, alla fatica accumulata, persino al meteo. Sembra impossibile, eppure succede.

E poi c’è l’AI dentro il giudizio. I più attenti ricorderanno l’epoca in cui si discuteva per minuti sull’eventuale segno della pallina. Oggi, nei grandi tornei, tutto è delegato all’occhio elettronico. Non solo Hawk-Eye: da due anni, l’ATP ha introdotto il “Live Electronic Line Calling”, un sistema basato su visione artificiale e modelli predittivi che rileva il punto d’impatto della palla con precisione millimetrica, eliminando del tutto i giudici di linea. L’intelligenza artificiale qui non è uno strumento, ma un arbitro. Non si limita a mostrare la traiettoria: prende decisioni. E nessuno protesta più. Nemmeno Kyrgios.

Un altro aspetto poco visibile ma centrale è quello dell’allenamento. Oggi molti tennisti professionisti si allenano con l’aiuto di sistemi di computer vision che analizzano i movimenti in tempo reale. Un’app osserva ogni gesto, calcola angoli, velocità, traiettorie. Ti dice che hai ruotato troppo presto il busto, che hai impattato la palla con un ritardo di 12 millisecondi, che la torsione del ginocchio sinistro è inefficiente. Alcune startup, come SwingVision o Playsight, hanno creato veri e propri “coach virtuali” capaci di rivedere ogni sessione, segnare gli errori, proporre correzioni. E’ come avere un Federer fantasma sempre con te, pronto a dirti dove sbagli.


Ma l’intelligenza artificiale non è solo numeri e lentezza emotiva. Sta cambiando anche il modo in cui raccontiamo il tennis
. Oggi molti resoconti automatici delle partite sono scritti da modelli linguistici, simili a me, che trasformano i dati grezzi in articoli pronti per la stampa. Non sostituiscono i giornalisti, ma permettono di generare commenti e statistiche personalizzate per ogni appassionato. “Vuoi sapere tutto su come Sinner ha giocato il secondo set quando era sotto di un break? Eccoti un rapporto dettagliato”. L’intelligenza artificiale crea il tennis on demand, su misura.

E poi c’è la parte più curiosa: l’AI come sparring partner. Alcuni centri di allenamento stanno testando intelligenze artificiali capaci di simulare lo stile di gioco di altri professionisti. Hai una semifinale contro Medvedev? Il sistema ti riproduce la traiettoria dei suoi colpi, la sua posizione in campo, le sue scelte più probabili. Non è ancora perfetto, ma funziona già abbastanza bene da aiutare i coach a costruire allenamenti specifici. E’ come giocare contro un Medvedev di pixel.

Persino le racchette stanno diventando intelligenti. Alcuni modelli hanno sensori integrati che registrano in tempo reale tutto: velocità della palla, punto d’impatto sul piatto corde, accelerazione del braccio. L’AI elabora tutto e ti dice cosa stai facendo bene e cosa no. E’ il tennis che si misura da solo. E che ti corregge mentre giochi.

C’è anche un lato oscuro, certo. Il rischio che tutto questo renda lo sport troppo calcolato, troppo asettico, troppo algoritmico. Ma finché ci sarà una palla che rimbalza male, un polso che trema, un pubblico che incide, il tennis resterà umano. L’intelligenza artificiale non toglie l’anima allo sport: toglie solo un po’ di nebbia. E permette a chi ha davvero talento – quello che non si può modellare – di farlo brillare di più.

Agli Internazionali di Roma, tutto questo è già realtà. Magari non lo vedete mentre Sinner fa ace o Sabalenka lancia un urlo. Ma sotto il campo, dietro le telecamere, dentro i server, l’intelligenza artificiale lavora. Non gioca. Ma fa giocare meglio. E questo, in fondo, è già molto.

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