Agostiniano o gesuita? Modi diversi di essere Chiesa e di guardare il mondo

Due anime diverse, due modi di vivere la fede. Da Papa Francesco a Leone XIV, il passaggio tra spiritualità gesuita e agostiniana segna un cambio di prospettiva nella Chiesa: dalla missione tra gli uomini alla ricerca della verità oltre il mondo

Quando un pontefice viene da una tradizione spirituale forte, quella tradizione lo accompagna anche dopo l’elezione. Con Papa Francesco, l’anima gesuita era presente in ogni gesto: nel discernimento come metodo, nella scelta per le periferie, nell’insistenza sulla missione. Con Papa Leone XIV, il tratto agostiniano non si limita al passato da religioso o al nome assunto, ma pare già farsi impronta teologica. Due figure, due storie, due modi diversi di stare nel mondo. Non in contrasto, ma in tensione. E proprio in quella tensione si gioca, forse, il futuro della Chiesa.

Per capire la differenza, bisogna partire da lontano. Sant’Agostino, vescovo di Ippona, padre della Chiesa, pensatore ossessivo e geniale, cercava Dio nella profondità dell’interiorità umana. La sua teologia è radicale, a tratti cupa, attraversata dall’idea che il male non è un’illusione ma una ferita reale della volontà. Agostino è il teologo della grazia e della caduta, del peccato originale e della città di Dio. Il suo mondo è diviso, imperfetto, segnato dalla lotta tra il bene e il male, tra ciò che è terreno e ciò che è eterno.

Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, arriva mille anni dopo. Viene dalla cavalleria, dalla disciplina, dalla conversione in età adulta. Il suo modo di pensare è più pratico, strategico, quasi militare. Non si concentra sull’origine del male, ma sulla possibilità del bene. Non sulla colpa, ma sulla decisione. Il cuore della spiritualità gesuita è il discernimento: osservare, valutare, scegliere. Meno destino, più libertà. Meno città di Dio e città dell’uomo, più missione tra gli uomini per portare lì Dio.

Per Agostino, l’anima lotta con sé stessa. Per Ignazio, l’anima si orienta, con l’aiuto di Dio, verso la missione. Il primo si muove tra la nostalgia e la verità, il secondo tra l’azione e la concretezza. L’uno è un uomo del dubbio che cerca la certezza, l’altro un uomo della volontà che cerca la strada.

Quando Jorge Mario Bergoglio divenne Papa, portò con sé la grammatica gesuita: apertura al mondo, attenzione agli ultimi, capacità di mediazione, ma anche un’astuzia politica sofisticata. Per lui, la Chiesa è un ospedale da campo: si va dove c’è bisogno, si curano le ferite, si accetta l’ambiguità del reale. Il suo papato è stato segnato da gesti forti ma anche da una certa ambivalenza dottrinale. Francesco ha privilegiato l’esperienza sulla norma, la pastorale sulla teoria, il caso concreto sulla generalizzazione.

Con Leone XIV si apre una stagione diversa. Non opposta, ma per certi versi speculare. Agostiniano, teologo, studioso, non ha lo stesso istinto missionario del gesuita, ma ha un’altra forma di radicalità: quella del rigore. Per lui la verità non è flessibile, ma va cercata, amata, difesa. Il peccato non è un errore da comprendere, è una ferita da guarire. La Chiesa non è solo un campo di accoglienza, è anche una roccaforte spirituale, un baluardo di senso in un mondo che ha perso la bussola.

Questo non significa che Leone XIV sia chiuso. Ma il suo stile è più verticale che orizzontale. Dove Francesco amava la parresia, la libertà di parola anche disordinata, Leone XIV sembra preferire il rigore della riflessione. Dove il primo si muoveva tra diplomazia e imprevisto, il secondo parla con calma, misura, ordine. E soprattutto, sembra più interessato a restaurare un linguaggio teologico forte che a dissolverlo nell’orizzontalità del dialogo.

Ma la differenza più profonda riguarda l’idea di libertà. Per Francesco, la libertà è responsabilità. Per Agostino, è un dono fragile che si può perdere. Per i gesuiti, Dio si manifesta nella storia. Per Agostino, Dio è oltre la storia, e la salva non con i nostri sforzi, ma con la grazia. Non è un dettaglio. E’ una visione del potere, della politica, del tempo.

Papa Francesco ha portato la Chiesa a confrontarsi con il mondo moderno cercando di abitarlo. Leone XIV, da agostiniano, potrebbe portarla a una riflessione più critica sul mondo, non per rifiutarlo, ma per comprenderne i limiti strutturali. Potrebbe essere meno riformista, ma più esigente. Meno aperto alle ambiguità, ma più deciso nel richiamo alla verità.

Non si tratta di una svolta conservatrice o progressista. Si tratta di una differenza di sguardo. Il gesuita parte dal mondo per evangelizzarlo. L’agostiniano parte da Dio per giudicare il mondo. Uno si immerge, l’altro si ritrae per comprendere. Entrambi amano l’uomo, ma da prospettive diverse.

Nel passaggio da Francesco a Leone XIV si intravede questo cambio di prospettiva. La Chiesa non abbandona il mondo, ma forse ricomincia a interrogarlo con più fermezza. La misericordia resta, ma forse accompagnata da più dottrina. L’apertura non scompare, ma si affianca a una nuova esigenza di verità. Non un ritorno al passato. Ma una diversa idea di profondità. E di libertà.

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