Il 9 maggio sulla Piazza Rossa Putin mostra che Mosca non è sola

Lo spettacolo davanti ai leader stranieri, il discorso, la protesta cancellata. Una buona giornata per il Cremlino mentre Trump chiede di nuovo un cessate il fuoco di trenta giorni

Per la prima volta dopo tre anni, gli spalti della Piazza Rossa, dove i leader stranieri e le delegazioni internazionali prendono posto dietro al capo del Cremlino, erano pieni. Vladimir Putin era circondato da ventinove leader, la giornata era splendida e la sfilata delle armi e dei soldati è andata avanti senza intoppi, senza neppure il nevischio a disturbare i pochi veterani della Seconda guerra mondiale rimasti in vita. Dalla Piazza Rossa, il 9 maggio, giorno in cui Mosca celebra la vittoria sulla Germania nazista, il capo del Cremlino ha imparato a usare le immagini in modo potente e oggi la sfilata non è servita soltanto a rinfrancare i russi sulla forza del loro esercito, ma anche a strabiliare i leader stranieri. Putin era seduto accanto a Xi Jinping, ogni tanto si voltava verso il leader cinese per attirare la sua attenzione su qualche particolare nella piazza. Xi si è alzato in piedi quando i suoi soldati hanno sfilato, reggendo la bandiera nazionale, al ritmo delle marce militari di Mosca. Ogni 9 maggio per Putin è una festa che dedica soprattutto a se stesso. E’ inutile attendere grandi messaggi e per quanto il capo del Cremlino speri di poter dichiarare la vittoria contro Kyiv nello stesso giorno che segna la vittoria contro i nazisti, anche quest’anno è stato deluso. Putin ha tenuto un breve discorso, ha detto che Mosca è la barriera indistruttibile contro il nazismo, l’antisemitismo e la russofobia. La parata del 9 maggio è un rito che Putin ha istituzionalizzato, di anno in anno ha aggiunto elementi, ha coltivato il suo culto della personalità, ha allontanato la celebrazione dalla vittoria del passato e l’ha avvicinata alla promessa di una guerra nel presente. Più la avvicinava, più la guerra diventava reale. Sulla Piazza Rossa, mentre aveva attorno a sé tanti dei leader di paesi che hanno fatto parte dell’Unione sovietica e che quindi hanno dato il loro contributo all’Armata rossa, Putin ha detto che il sacrificio di ottant’anni fa sarà ricordato come opera dei “soldati russi”. Non soltanto ha cancellato l’Ucraina dalla memoria della guerra, ma anche i paesi amici.

Ormai il 9 maggio, nel suo tentativo di celebrare il passato, è un giorno di propaganda per il presente. Il capo del Cremlino ha ringraziato i soldati al fronte, ha detto che il popolo russo capisce e sostiene “l’operazione militare speciale”, anche se proprio nello stesso giorno un gruppo di madri e mogli di soldati aveva organizzato una protesta silenziosa contro la mobilitazione. Neanche per un secondo Putin ha pensato che quella riunione di donne potesse rovinare la sua parata e per bilanciare alle sue spalle aveva disposto vedove e orfani di soldati morti al fronte. Era però più preoccupato dalla possibilità che gli ucraini potessero mandare qualche drone, disturbando lo spettacolo e mostrando ai leader stranieri la vulnerabilità dei cieli di Mosca. Per evitare qualsiasi incidente oggi la capitale russa era blindata, in alcune zone neppure internet funzionava: il Cremlino ha preso ogni precauzione affinché il 9 maggio di Putin non venisse rovinato. Assieme ai russi hanno sfilato soldati cinesi, nordcoreani – Putin è andato a salutare personalmente un generale nordcoreano, un atto dovuto dopo che Pyongyang ha mandato i suoi uomini a combattere nel Kursk. Hanno sfilato egiziani, bielorussi, tagichi, kazachi e altri. Il messaggio era di unità, era la presentazione di un fronte unico che ieri è andato sulla Piazza Rossa a mostrare che Mosca non è isolata.

Rispetto al passato sono mancate le accuse contro quello che Putin chiama l’occidente collettivo, e il motivo è che alla Casa Bianca c’è un presidente che ancora è visto come amico. Dopo l’insediamento e la prima telefonata con il capo del Cremlino, sembrava che Trump avesse preso in considerazione l’idea di andare anche lui sulla Piazza Rossa. L’idea si è infranta assieme alla promessa di mettere fine alla guerra in cento giorni. Trump ha proposto un nuovo cessate il fuoco di trenta giorni. Kyiv ha già accettato. Mosca deve ancora rispondere, ma intanto ha avuto la sua parata, i suoi ospiti, la sua festa della minaccia.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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