L’ultimo libro di Francesco Giubilei e le parole sul Medioevo. Chi ritiene che l’Italia sia una creazione del Risorgimento non è un conservatore, ma un vassallo di Barbero
Francesco Giubilei in “L’Italia dei conservatori. Storia del conservatorismo italiano dall’antica Roma al governo Meloni” (Giubilei Regnani) mi cita due volte e la prima è per un mio elogio dei Sette Sapienti, dunque relativo a un conservatorismo perfino più antico di quello romano, greco.
Mi è caro anche il capitolo sul Medioevo e non potrebbe essere diversamente perché, sono parole del giovane storico, “ricordare il Medioevo come un’epoca che ha contribuito a formare la nostra identità è una prerogativa del conservatorismo latino”. Ne consegue che non è un conservatore chi ritiene l’Italia creazione del Risorgimento: semmai è un vassallo di Barbero. Giubilei ha l’ulteriore merito di avermi fatto conoscere il pensiero di padre Agostino Gemelli: “Nel Medioevo il genio italico ha scritto la pagina più bella della nostra storia nel sapere, nella vita, nelle arti, e negli studi, ma soprattutto nella santità”. Giusto, con l’eccezione della pittura (fatico a considerare Botticelli e Raffaello inferiori a Cimabue), in Italia vedo il declino cominciare molto presto, subito dopo Dante, San Francesco, il romanico. Vero conservatore è colui che, quando ha un’ora di tempo, non guarda un film, non ascolta un podcast, non corre al parco: visita una cattedrale.