Tutte le balle di Landini sul mercato del lavoro

Occupati, precarietà, contratti part time. La campagna del leader della Cgil prevede la sistematica diffusione di numeri falsi, smentiti da Istat e Inps. Riuscirà a dire un solo dato vero prima del referendum?

Il referendum contro il Jobs Act sembra circondato dal disinteresse generale e dallo scarso impegno dei partiti che pure lo sostengono, come Pd e M5s, che forse vedono come ineluttabile il mancato raggiungimento del quorum. L’unico che sta facendo un grande sforzo propagandistico è Maurizio Landini, il promotore dei quattro quesiti referendari sul lavoro. Ed è solo dalle sue interviste che, in questa campagna referendaria, possono emergere due sorprese: che il leader della Cgil fornisca per la prima volta un dato vero; che un intervistatore contesti per la prima volta uno dei tanti dati falsi diffusi da Landini. Apparentemente non sono due eventi improbabili, eppure finora non si sono mai verificati. Passiamo in rassegna alcuni dei numeri falsi diffusi dal leader della Cgil, tenendo conto che si tratta di un elenco indicativo e non esaustivo.

“C’è stato un aumento della precarietà che nel nostro paese non ha precedenti, sono aumentati i contratti a termine”, dice Landini. Non è vero. Negli ultimi anni, come mostrano i dati dell’Istat, è aumentata notevolmente l’occupazione a tempo indeterminato e si è ridotta quella a tempo determinato. Nel IV trimestre 2024 l’Istat ha registrato +486 mila occupati permanenti e -295 mila occupati a termine: la quota di occupati a termine sul totale è così scesa dal 12,4% all’11%.

“L’occupazione è aumentata, ma perché sono cresciuti i part time: in nessun altro paese d’Europa c’è questo livello di contratti part time”, dice Landini. Falso. L’Istat dice che nel IV trimestre 2024 gli occupati a tempo parziale sono 4 milioni: -328 mila rispetto al 2023 (-7,6%), con un’incidenza che cala dal 18,2% al 16,7%. Non è un fenomeno sporadico, ma un trend che va avanti da molti anni, come scrive l’Inps nel suo ultimo rapporto annuale: per i part time “i valori del 2023 sono inferiori a quelli del 2019”. È altrettanto falso che si tratta del livello più alto in Europa. Secondo i dati Eurostat, la quota di occupati part time sul totale in Italia nel 2024 è del 16,7%, a fronte di una media dell’Eurozona pari al 20% e dell’Ue pari al 17,2%.

“Ma a essere aumentato è il part time involontario”, dice Landini, quindi “aumentano gli occupati ma diminuiscono le ore lavorate”. Doppiamente falso. Come indica l’Istat le ore lavorate sono aumentate (indice a 117,2 a fine 2024 fatto 100 l’anno 2021). Ma anche il part time involontario, ovvero chi lavora a tempo parziale perché non trova un’occupazione a tempo pieno, è in diminuzione. Lo certifica l’Istat nell’ultimo rapporto sul Benessere equo e sostenibile: “Nel 2023 prosegue per il quarto anno consecutivo il calo della quota di occupati in part time involontario”, scrive l’istituto di statistica. Il tasso è sceso sotto il 10%, attestandosi al 9,6%, a fronte del 12,1% del 2019. Eurostat calcola anche l’incidenza non sugli occupati totali, ma in rapporto ai soli occupati part time: pure in questo caso si registra un calo costante, dal 65,6% del 2019 al 51,3% del 2024.

Come ha sinteticamente scritto l’Inps nel suo ultimo rapporto annuale, “dalla pandemia il paese è uscito con un maggiore tasso di occupazione, una crescente quota di lavoro a tempo indeterminato, una riduzione nel ricorso al part time”. Di contro, dalla pandemia la Cgil di Landini è uscita senza mai aver diffuso un dato vero sul mercato del lavoro. C’è tempo fino all’8 giugno, ma le probabilità che accada sono inferiori a quelle che venga raggiunto il quorum.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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