“Se abbandoniamo Sansal, anche in Europa si bruceranno i libri”. Parla Kamel Bencheikh

Dal giorno della sua incarcerazione, non ne è passato uno senza che lo scrittore si battesse per la liberazione del suo amico, anche con i suoi editoriali sul Monde: “L’islam politico avanza sotto mentite spoglie; colonizza le menti prima di incidere sulle leggi”. Intervista

Boualem Sansal è in carcere in Algeria da 168 giorni. E le preoccupazioni continuano a crescere. Lo scrittore franco-algerino, critico del regime e dell’islamismo politico di Abdelmadjid Tebboune, è stato condannato a cinque anni di carcere.

Il comitato che lo sostiene ieri ha messo in guardia dai “rischi per la sua sicurezza”, dopo aver ricevuto “informazioni serie e coerenti” che segnalavano minacce dirette a Sansal. “I conflitti interni al regime algerino non sono estranei a questa messa in pericolo del nostro connazionale”, ha scritto il comitato, chiedendo all’Eliseo di intervenire. Lo scrittore ottantenne, malato di cancro, è sostenuto dalle due figlie, che a metà aprile hanno pubblicato una lettera aperta indirizzata a Emmanuel Macron.

Ma l’appello a Macron delle figlie di Sansal, che vivono a Praga, finora è rimasto finora senza risposta. All’Assemblea Nazionale la sinistra si è intanto divisa sul voto di una risoluzione che chiede la liberazione del romanziere algerino, di cui Neri Pozza a giugno pubblicherà “Vivere. Il conto alla rovescia”. Il Partito Socialista lo sostiene con i gollisti, i macroniani e i lepenisti, mentre la France Insoumise e gli ambientalisti sono per l’astensione.

Dal giorno dell’incarcerazione di Sansal, lo scorso 16 novembre, non ne è passato uno senza che Kamel Bencheikh si battesse per la liberazione del suo amico, anche con i suoi editoriali sul Monde. “Boualem Sansal è una voce di luce che è stata imprigionata” dice al Foglio Bencheikh, che ha appena pubblicato il libro “L’islamisme ou la crucifixion de l’occident: Anatomie d’un renoncement”. “Mettendo a tacere Sansal, un intero popolo viene messo a tacere, un popolo di uomini e donne integri che si rifiutano di inchinarsi a dogmi e tiranni. Boualem rappresenta la fratellanza senza confini, la libera intelligenza, l’uomo che ha fatto della parola un’arma contro l’oscurantismo. Difenderlo non significa solo difendere uno scrittore; significa difendere l’universale, la possibilità per tutti di dire ‘io’ di fronte alla folla”.

La prossima settimana, Bencheikh sarà a Praga per il Premio internazionale per la libertà di espressione. “Porterò il suo nome lì, come una torcia a cui non è permesso di morire in una cella. E lo farò anche come fondatore e membro del consiglio di amministrazione del Comitato di sostegno a Boualem Sansal, perché l’amore per un uomo libero è una forma di lealtà verso il genere umano”.

Eppure, c’è tanto silenzio a sinistra sulla sua prigionia, dalla politica agli intellettuali. “Per codardia, per confusione morale, per quella tragedia di lunga data della sinistra, che troppo spesso si chiude in se stessa e si presenta con aria spaventata. Ama le lotte lontane, le cause che ne lusingano l’immagine, ma abbassa lo sguardo non appena deve nominare il nemico tra coloro che ritiene di dover proteggere, a rischio di essere percepita come ‘islamofoba’. Boualem è il sassolino nella sua scarpa, la prova vivente che si può essere algerini, laici, amanti della libertà, eppure odiati dagli islamisti. Quindi, guarda dall’altra parte, e così facendo, tradisce le proprie promesse”.

Corriamo grandi rischi con questo islam politico. “Il rischio di cancellazione”, ci dice Bencheikh. “Non la cancellazione delle nostre differenze, ma la cancellazione di ciò che ci permette di vivere insieme: la libertà di coscienza, l’uguaglianza tra donne e uomini, il diritto di ridere, di criticare. L’islam politico avanza sotto mentite spoglie; colonizza le menti prima di incidere sulle leggi. Divide, intimidisce, compra complicità, costruisce muri tra le persone. Se chiudiamo un occhio, permetteremo che sul nostro suolo nasca ciò che Boualem sta combattendo laggiù: un mondo in cui i libri vengono bruciati e le donne abbassano lo sguardo”.

Per questo l’occidente deve svegliarsi dal letargo. “Sì, e da una debolezza mascherata da belle parole: dialogo, tolleranza, inclusione. Ma non c’è dialogo possibile quando l’altro si rifiuta di scendere a compromessi, non c’è tolleranza per chi vuole imporre l’intollerabile, e l’inclusione ha senso solo se avviene all’interno di un quadro comune, non attraverso eccezioni. L’occidente cerca la pacificazione come un bambino cerca la tenerezza, ma dimentica che alcuni non portano pace, ma sottomissione. L’amore per la libertà a volte richiede rabbia; la pace senza giustizia è solo una vergognosa capitolazione”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

Leave a comment

Your email address will not be published.