Al mattino la messa Pro eligendo: il cardinale decano Re cita tutti meno che Francesco e fa arrabbiare gli argentini. Al pomeriggio l’extra omnes, prima dell’inevitabile scrutinio a vuoto
I più rilassati, alla messa Pro Eligendo Romano Pontifice del mattino, erano gli ultraottantenni. Loro almeno un Conclave l’hanno già vissuto, in Sistina ci sono entrati già. Hanno sperimentato passioni e tensioni, davanti al “Giudizio” michelangiolesco che dovranno guardare giurando di votare quello che ritengono più adatto a divenire Vicario di Cristo. I giovani (in senso lato) apparivano più tesi, forse spaesati. Catapultati in una realtà per certi versi mistica, anni luce distante da quella cui sono abituati nelle loro più o meno grandi diocesi sparse nel globo. Qualcuno ha confidato di non vedere l’ora di imbarcarsi su un aereo e fare ritorno a casa. Troppo grave il peso di quel che si accingono a fare, troppo forti le pressioni. Fare il vescovo nella più sperduta isoletta del Pacifico, checché ne dica la retorica ufficiale, non è la stessa cosa che vivere due settimane di Sede vacante a Roma, in morte ed elezione del Papa. Con gli occhi del mondo fissi sugli abiti corali rossi di coloro tra i quali sarà scelto il successore di Pietro. Il cardinale Giovanni Battista Re, nell’omelia, l’ha detto: “Ogni Papa continua a incarnare Pietro e la sua missione e così rappresenta Cristo in terra; egli è la roccia su cui è edificata la Chiesa. L’elezione del nuovo Papa non è un semplice avvicendarsi di persone, ma è sempre l’apostolo Pietro che ritorna”. E’ stata particolare l’omelia del decano, che si è soffermato sull’importanza di mantenere “l’unità della Chiesa che è voluta da Cristo; un’unità che non significa uniformità, ma salda e profonda comunione nelle diversità, purché si rimanga nella piena fedeltà al Vangelo”. Concludendo l’omelia, Re ha detto: “Preghiamo perché Dio conceda alla Chiesa il Papa che meglio sappia risvegliare le coscienze di tutti e le energie morali e spirituali nella società odierna, caratterizzata da grande progresso tecnologico, ma che tende a dimenticare Dio”. A qualcuno, però, la predica del decano non è piaciuta.
Ha scritto infatti il quotidiano argentino La Nación che secondo un anonimo monsignore, “non nominare Francesco, come se non fosse mai esistito e facendo finta di niente, è stato davvero pesante”. In effetti, Re ha citato solo due Papi nella sua breve omelia, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Di Francesco neanche una minima traccia, così come di certi suoi temi caratterizzanti il pontificato, dai migranti all’emergenza climatica. Strano, anche considerata la mole di riferimenti al pontificato e all’eredità del pontificato di Francesco emersi nelle congregazioni generali che si sono tenute in queste due settimane.
Nel pomeriggio, come previsto, l’ingresso in Sistina, partendo dalla Cappella Paolina, lì dove fino a qualche secolo fa si tenevano le votazioni (la Sistina era il dormitorio dei cardinali). Le litanie, il Veni Creator Spiritus intonato alla perfezione dal cardinale Pietro Parolin, che guida il Conclave essendo il primo dei cardinali vescovi con meno di ottant’anni. Infine, il giuramento: prima corale e poi individuale. Uno per uno, i 133 elettori hanno posato la mano destra sul Vangelo, promettendo solennemente di agire per il bene della Chiesa. Molta l’emozione. Va detto che la performance non è stata delle migliori: il latino esibito dagli eminentissimi cardinali si è mostrato al livello di una classe di ginnasiali rimandati a settembre. Però, tant’è: a ogni Conclave ci si accorge del declino della lingua ufficiale di Madre Chiesa e non è che ci si possa fare più di tanto. Nelle periferie le priorità sono altre, il latinorum non rientra fra queste. Lo si può capire. La piazza, fuori, era già piena di gente, mentre il sole illuminava dal retro il cupolone. Turisti in cerca di una tintarella pre-estiva, bambini incuriositi dal solito gabbiano appoggiato sul comignolo (nel 2013 ci fu chi lo percepì come un fausto segno per il cardinale Scola, essendo il volatile legato a sant’Ambrogio), suore che sgranavano il rosario. Dentro, intanto, il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore emerito pontificio, teneva l’ultima meditazione davanti al corpo elettorale: un foglietto di appunti e poi tutto a braccio, aveva garantito l’eminenza rimasta col saio francescano d’ordinanza. Una volta terminata, anche per lui e per il Maestro delle celebrazioni liturgiche, mons. Ravelli, giunge il momento di uscire. Da lì in poi è mistero. “In Sistina si vota, non si parla”, ha detto il cardinale non elettore Angelo Bagnasco. Per gli accordi ci sarà tempo, la mensa di Santa Marta è lì che si appresta a ospitare le eminenze per una cena leggerissima, una di quelle che potrebbero far venir voglia di non tirarla troppo per le lunghe.