La tormentata ricerca di un Papa

Sono ventiquattro forse venticinque, i cardinali che secondo i media sarebbero in corsa per il papato. O meglio, che avrebbero destato la curiosità e l’attenzione dei confratelli disorientati (il cardinale Arborelius ha parlato di due ultraottantenni spariti dopo i primi giorni di congregazioni)

Roma. Sono ventiquattro forse venticinque, i cardinali che secondo i media sarebbero in corsa per il papato. O meglio, che avrebbero destato la curiosità e l’attenzione dei confratelli disorientati (il cardinale Arborelius ha parlato di due ultraottantenni spariti dopo i primi giorni di congregazioni). Di fatto, circa il venti per cento del corpo elettorale. Un po’ troppo per potere individuare un identikit, un profilo verso il quale si stanno indirizzando i cardinali. E’ vero, i porporati sono tanti come mai prima nella storia e non si conoscono tra di loro (è anche vero, però, che molti erano presenti al Sinodo), ma a determinare l’incertezza di fondo è l’eredità pesante del pontificato bergogliano. Ricco di intuizioni, aperto al mondo e agli scartati, ma anche foriero di non poca confusione, specie nello stile e negli atti di governo. L’ha detto più di un cardinale nelle congregazioni, elencando le storture che si sono verificate in dodici anni – le licenze “canonistiche” di Francesco e l’abnorme promulgazione di motu proprio (73 in dodici anni, quando Giovanni Paolo II si limitò a firmarne 25 in ventisei anni di pontificato), ad esempio – e l’originalità di scelte che se fino a due settimane fa erano salutate come “profetiche” oggi invece sono considerate un attentato all’ordine sacro. Francesco ha aperto processi senza chiuderne neanche uno e ne era consapevole: salire sulla Barca e non avere paura di prendere il largo, anche senza conoscere la meta. Avviare processi e non occupare spazi, diceva. Morto lui, i cardinali si sono ritrovati davanti una situazione complessa, paragonabile forse solo a quella che il Collegio dovette risolvere nel Conclave del 1963, a Concilio aperto. Dalla mole degli interventi tenuti in congregazione e soprattutto dai temi toccati si comprende che il tavolo della discussione è così ingombro di argomenti che quasi non si sa da dove partire. Si prenda la sintesi del 2 maggio: evangelizzazione, Chiese dell’oriente, urgenza di comunicare il Vangelo in modo efficace a tutti i livelli della vita ecclesiale, dalle parrocchie alla curia, abusi sessuali, scandali finanziari, centralità della liturgia, importanza del diritto canonico, valore della sinodalità, superamento del secolarismo. Hanno parlato perfino di ermeneutica della continuità. E non finisce qui: ieri, gli interventi hanno ricordato i processi avviati da Francesco, la povertà, l’attenzione al creato, l’eucaristia, le guerre.

Qualcuno ha provato a parlare del futuro Papa che dovrà essere “presente, vicino, come porta d’accesso alla comunità in un ordine mondiale in crisi. Un pastore vicino agli uomini, che affronti la sfida della fede, del creato e della guerra in un mondo frammentato”. Non ha più neanche senso dividere i cardinali come fossero capri e agnelli, tra progressisti e conservatori. Neppure per raggruppamenti geografici: in Asia, il continente più “premiato” da Francesco, convivono cardinali saldissimi nella convinzione di proseguire lungo i sentieri indicati dal Papa argentino e cardinali che invece sono più sensibili ai programmi di ratzingeriana memoria. Sintetizzare tutto in pochi giorni è complicato, cercare chi potrà raccogliere l’eredità bergogliana è un compito arduo: servirà un pastore, dicono i porporati, ma anche un uomo di governo; uno di retta dottrina ma allo stesso tempo uno che prosegua lungo i sentieri tracciati. Insomma, mai come ora appare giustificata l’invocazione allo Spirito Santo perché illumini cuori e menti degli eminentissimi.

Intanto, mentre come sempre proseguono le campagne di stampa pro o contro il dato candidato, va segnalata la battaglia che il quotidiano argentino la Nación, per anni bastione incrollabile del bergoglismo più ortodosso al limite della papolatria, sta conducendo contro il segretario di stato uscente, il cardinale Pietro Parolin, dato per favorito secondo il pour parler generale. In accurati reportage da Roma, la Nación ha prima descritto Parolin come l’uomo su cui potrebbero convergere i “conservatori”, quindi l’ha definito “uomo senza carisma” e cardinale “privo di esperienza pastorale”. Arrivando anche a segnalare velenosamente che il cardinale Matteo Zuppi – che secondo un vescovo anonimo citato si sarebbe dato da fare per “costruire la Cei a propria immagine e somiglianza” – avrebbe detto ai “suoi” di votare Parolin e poi si vedrà. Curioso che a cercare di impallinare colui che dall’inizio alla fine del pontificato di Francesco fu il segretario di stato sia proprio il giornale più caro allo stesso Pontefice argentino. Sta a vedere che, anziché i perfidi conservatori, quelli a non volere Parolin Papa sono le vestali incrollabili dell’èra bergogliana.

Di più su questi argomenti:

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

Leave a comment

Your email address will not be published.