Guardando al voto rumeno all’estero, emergono le contraddizioni profonde della destra e della sinistra: visioni speculari e incoerenti su identità, nazione e appartenenza, ormai ridotte a costruzioni mentali prive di consistenza reale
Guardando la Romania, ho capito cosa sono diventate la destra e la sinistra. Mi sono state molto utili le analisi dettagliate dei dati elettorali (ad esempio quella di Simone Canettieri sul Foglio di oggi): a far pendere il favore elettorale verso George Simion, leggo, è stato il voto dei rumeni all’estero. Per dire, il candidato di ultradestra ha preso il 40% in patria, ma oltre il 70% fra i connazionali che vivono in Italia o in Germania. Queste percentuali danzano sul crinale che oggi divide le due ideologie politiche: a destra quelli che credono che il destino di una nazione vada determinato da chi ci affonda le radici personali o familiari, anche se vive da tutt’altra parte; a sinistra quelli che credono che il destino di una nazione vada determinato da chi ci arriva a un certo punto, anche se propugna costumi e valori differenti da quelli della sua patria d’elezione.
Il problema è che sono le stesse persone: gli stranieri nostrani che la destra vuol far pesare a casa loro coincidono con quelli che la sinistra vuol far pesare in Italia; gli italiani emigrati che la destra vuol far pesare in Italia coincidono con quelli che la sinistra vuol far pesare all’estero. La destra ritiene che la nazione sia un totem immutabile, il cui spirito accompagna in eterno gli espatriati e i loro discendenti; la sinistra ritiene che la nazione sia un coacervo proteiforme, in cui l’immissione di elementi sempre nuovi rende impossibile definirne l’identità e la continuità. La destra partorisce un sovranismo da operetta; la sinistra rinnega la sovranità come se si potesse camminare senza spina dorsale. Guardando la Romania, ho capito l’Europa e il resto del mondo: essere di destra ed essere di sinistra, ormai, sono entrambi stati mentali immaginari, forse allucinatori.