Forza Italia attacca i pm di Messina sulle intercettazioni, ma il problema è il metodo usato dalla maggioranza

La polemica tra i forzisti e il procuratore di Messina attorno alla legge Zanettin dimostra i danni prodotti dall’approvazione frettolosa, in modo “blindato”, delle riforme in Parlamento

Parafrasando il proverbio, il legislatore frettoloso fa le norme cieche. Se ne sta accorgendo la maggioranza meloniana, abituata ad approvare in Parlamento, in fretta e furia, testi “blindati”. Lo dimostra quanto sta avvenendo attorno alla riforma, approvata lo scorso marzo, che fissa a 45 giorni il limite per realizzare intercettazioni, salvo alcune deroghe (come i reati di mafia e terrorismo). Forza Italia, che aveva voluto fortemente la riforma, è insorta contro una circolare adottata dal procuratore di Messina, Antonio D’Amato, con le linee guida per i magistrati su come interpretare le nuove norme. A far protestare i forzisti è soprattutto l’inserimento da parte di D’Amato dei reati contro la Pubblica amministrazione nell’elenco dei delitti ai quali non si applica il limite dei 45 giorni.

Secondo Enrico Costa, deputato di Forza Italia e relatore della legge (proposta dal senatore Pierantonio Zanettin), l’interpretazione di D’Amato “stravolge la volontà del legislatore”. Costa sottolinea come l’obiettivo della norma fosse infatti quello di ridurre l’abuso delle intercettazioni prolungate nei procedimenti, lasciando deroghe solo per reati di mafia e terrorismo. Questa volta le critiche del buon Enrico Costa, tra i pochi portatori in Parlamento di una visione garantista, appaiono però infondate, e più dovute al caos generato dall’approvazione frettolosa delle proposte di legge.

La riforma Zanettin prevede che, dopo i primi 45 giorni, gli inquirenti possano continuare a intercettare soltanto se sono emersi “elementi specifici e concreti” che confermano l’assoluta indispensabilità delle captazioni. A questa procedura ordinaria se ne affianca però un’altra speciale, alla quale non si applica il limite dei 45 giorni. Si tratta dei reati che ricadono sotto la disciplina prevista dall’art. 13 del decreto legge n. 152/1991: reati di criminalità organizzata, terrorismo, traffico illecito di rifiuti, sequestro di persona a scopo di estorsione, i reati informatici e infine i reati contro la Pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni” (per effetto delle disposizioni contenute nel d.lgs. 9 dicembre 2017, n. 216).

Che il limite dei 45 giorni non si sarebbe applicato ai reati contro la Pa, proprio per effetto delle disposizioni del 2017, era stato evidenziato nel novembre 2024 in commissione Giustizia alla Camera, nel corso delle audizioni conoscitive della riforma Zanettin, da magistrati come Raffaele Cantone (procuratore di Perugia), Maurizio De Lucia (procuratore di Palermo) e Pasquale Fimiani (avvocato generale presso la Corte di cassazione), e da giuristi come Gian Luigi Gatta. Questi pareri sono stati ignorati, anche perché nel frattempo i leader della maggioranza, come riferiscono al Foglio diversi parlamentari, avevano deciso di “blindare” il provvedimento, cioè di puntare alla sua seconda e definitiva approvazione alla Camera, senza accettare emendamenti che avrebbero imposto di tornare al Senato.

L’interpretazione fornita quindi ora dal procuratore D’Amato (tra l’altro non una toga rossa, ma esponente storico della corrente moderata di Magistratura indipendente) risulta perfettamente in linea con quanto previsto dalla riforma.


Entrata in vigore la legge, però, Forza Italia scopre ora che questa non è in linea con le proprie preferenze, tanto da valutare l’approvazione – magari dentro al decreto sicurezza – di una norma che garantisca “un’interpretazione autentica”. Che poi autentica non sarebbe.

Quanto avvenuto attorno alla riforma Zanettin segnala il rischio che si corre approvando riforme in modo “blindato”. E’ avvenuto con le norme in materia di sicurezza, contenute in un ddl e improvvisamente trasfuse in un decreto (già entrato in vigore) dopo un anno e mezzo di discussione in Parlamento, senza tener conto delle profonde criticità costituzionali del testo evidenziate da giuristi, magistrati e avvocati. Sta avvenendo con la riforma costituzionale della magistratura, tanto voluta dal ministro Nordio. Blindata anche questa, nonostante la presenza di norme discutibili (come quelle sul sorteggio dei laici al Csm o sull’Alta corte di giustizia), pur di fare in fretta. E pazienza se il risultato potrà essere un pasticcio.



  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto “I dannati della gogna” (Liberilibri, 2021) e “La repubblica giudiziaria” (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]

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