L’America appare sfigurata, la nuova Amministrazione è spietata e senza morale. No, non ditemi che questo è conservatorismo, scrive l’intellettuale americano “di famiglia” che propone una strada per la guarigione, guardando a un evento storico, e poi avanti
Charles de Gaulle iniziava il suo memoir sulla guerra con questa frase: “Per tutta la vita ho avuto una certa idea della Francia”. Ecco, io per tutta la vita ho avuto una certa idea dell’America. Ho pensato all’America come a una nazione profondamente imperfetta che tuttavia è una forza di bene – un enorme bene – nel mondo. Da Abramo Lincoln a Franklin D. Roosevelt a Ronald Reagan e oltre, gli americani hanno combattuto per la libertà e la dignità umana e contro la tirannia; abbiamo promosso la democrazia, finanziato il Piano Marshall e salvato milioni di persone in Africa dall’Hiv e dall’Aids. Quando abbiamo causato danni – in Vietnam, in Iraq – è stato per la nostra eccessiva presunzione, per un’eccessiva ingenuità, non avevamo cattive intenzioni. Fino al 20 gennaio 2025, non mi ero reso conto di quanta parte della mia identità fosse costruita sulla fiducia nella bontà del mio paese, sull’idea che noi americani siamo partner di un’impresa grandiosa ed eroica, che la nostra vita quotidiana è nobilitata dal servizio a quella causa. Dal 20 gennaio, quando ho visto l’America comportarsi in modo ignobile nei confronti dei nostri amici in Canada e Messico, dei nostri amici in Europa, degli eroi in Ucraina e del presidente Volodymyr Zelensky nello Studio ovale, ho avuto difficoltà a descrivere la mia angoscia. Dolore? Choc? Come se stessi vivendo una specie di allucinazione? Forse la descrizione migliore per quello che sto provando è la vergogna morale: assistere alla perdita dell’onore della propria nazione è imbarazzante e doloroso.
George Orwell è una guida utile per capire a cosa stiamo assistendo: ha capito che è possibile, per le persone, cercare il potere senza avere una visione del bene. “Il Partito cerca il potere solo per sé stesso”, dice un apparatchik in 1984. “Non ci interessa il bene degli altri; ci interessa solo il potere. Non la ricchezza o il lusso o la lunga vita o la felicità: solo il potere, il puro potere”. Come si dimostra il potere? Facendo soffrire gli altri. Il personaggio di Orwell continua: “L’obbedienza non è sufficiente. Se non soffre, come si può essere sicuri che obbedisca alla tua volontà e non alla sua? Il potere sta nell’infliggere dolore e umiliazione”. Russell Vought, direttore del Bilancio di Donald Trump, sembra uscito direttamente da 1984. “Quando si svegliano al mattino, vogliamo che non abbiano voglia di andare a lavorare, perché sono sempre più visti come i cattivi”, ha detto riferendosi ai dipendenti della pubblica amministrazione durante un evento pubblico nel 2023: “Vogliamo che sentano un trauma”. Da quando è tornato alla Casa Bianca, Trump ha causato sofferenza agli ucraini, sofferenza agli immigrati che vivono qui da decenni, sofferenza ad alcune delle persone migliori che conosco. Molti dei miei amici a Washington sono cristiani evangelici che hanno trovato la loro vocazione nel servizio pubblico: combattere il traffico sessuale, servire i poveri del mondo, proteggere l’America dalle minacce straniere, fare ricerca biomedica per curare le malattie. Cercano di vivere una vita coerente con il Vangelo, con la misericordia e l’amore. Trump ha devastato il loro lavoro. Non sta solo dichiarando guerra alla wokeness; sta dichiarando guerra al servizio cristiano, a qualsiasi tipo di servizio, in realtà.
Se c’è una filosofia di fondo che guida Trump, è questa: la morale è per i fessi. I forti fanno ciò che vogliono e i deboli subiscono ciò che devono. Questa è la logica dei bulli di tutto il mondo. E se c’è una strategia coerente, è questa: giorno dopo giorno, l’Amministrazione lavora per creare un mondo in cui gli spietati possano prosperare. Ciò significa distruggere qualsiasi istituzione o accordo che possa controllare il potere dell’uomo forte. Lo stato di diritto, nazionale o internazionale, limita il potere, quindi deve essere sventrato. Gli ispettori generali, i giudici, gli avvocati, i meccanismi di supervisione e le agenzie di controllo sono un potenziale freno al potere, quindi devono essere licenziati o neutralizzati. La verità stessa è un freno al potere, quindi deve essere abbandonata. La menzogna diventa il linguaggio dello stato. Il primo mandato di Trump è stato il presupposto per il secondo. Il suo primo mandato ha gradualmente eroso le norme e acclimatato l’America con un nuovo tipo di regime. Ha gettato le basi per il suo secondo mandato, in cui sta rendendo il mondo un parco giochi per gangster. Un tempo vivevamo in un mondo in cui le ideologie si scontravano, ma oggi le ideologie non sembrano più avere importanza. La concezione del potere da parte dell’uomo forte è in marcia. Il potere è come il denaro: più ce n’è meglio è. Trump, il presidente russo Vladimir Putin e gli altri leader autoritari del mondo stanno formando un asse di spietatezza sotto i nostri occhi. Il trumpismo è diventato una forma di nichilismo che divora tutto ciò che incontra sul suo cammino.
La cosa patetica è che non me lo aspettavo, anche se ho vissuto intorno a queste persone per tutta la mia vita adulta. Sono entrato a far parte del movimento conservatore negli anni Ottanta, quando ho lavorato per la National Review, per il Washington Times e per la pagina degli editoriali del Wall Street Journal. All’epoca c’erano due tipi di persone nel nostro movimento: i conservatori e i reazionari. Noi conservatori leggevamo Milton Friedman, James Burnham, Whittaker Chambers ed Edmund Burke. I reazionari volevano solo scioccare la sinistra. Noi conservatori scrivevamo su riviste intellettuali; i reazionari erano attratti dalla televisione e dalla radio. Eravamo di destra ma avevamo molti amici liberal; loro disprezzavano chiunque non fosse della destra anti establishment. Non erano a favore dei conservatori, erano contro la sinistra. Ho capito che questa è una differenza importante. Avrei dovuto capirlo molto prima, perché i reazionari avevano rivelato la loro vera natura già nel gennaio del 1986. Un gruppo di studenti progressisti di Dartmouth aveva costruito delle specie di capanne nel campus per protestare contro l’apartheid. Una notte, un gruppo di dodici studenti, per la maggior parte legati alla rivista di destra Dartmouth Review, si avventò sulle capanne con le mazze e le tirò giù tutte.
Già allora fui inorridito. L’apartheid era un male e andava contrastato. Un’incursione notturna con le mazze sembrava più da Gestapo che da un seguace di Burke. Ma gli intellettuali conservatori non presero quell’episodio abbastanza sul serio. In gran parte credo che ciò sia dovuto al fatto che guardavamo dall’alto in basso la mafia della Dartmouth Review, tra i cui membri ci sono stati anche Laura Ingraham e Dinesh D’Souza: i loro standard intellettuali erano evidentemente di terza categoria. Non so come dirlo in modo educato, ma sembravano ambiziosi in un modo tanto inquietante che pensavo che questa foga li avrebbe infine distrutti. Invece, la storia gli ha sorriso. Un importante editore di autori di destra una volta mi disse che il modo per vendere libri conservatori non è scrivere un buon libro, ma scrivere un libro che offenda la sinistra, inducendo così i reazionari a schierarsi dalla tua parte e a comprarlo. Questo ha portato a libri con titoli come The Big Lie: Exposing the Nazi Roots of the American Left e all’intera carriera di Ann Coulter. Prendersela con i liberal è diventata una strategia redditizia.
Naturalmente, la sinistra ha reso loro le cose più facili. La sinistra ha davvero epurato i conservatori dalle università e da altri centri di potere culturale. La sinistra ha davvero valorizzato un sistema “meritocratico” di caste che privilegiava i figli dei ricchi e fregava la classe operaia. La sinistra ha davvero pontificato, rivolgendosi a quelli che considera moralmente inferiori e non illuminati, su qualsiasi cosa, dal gender all’ambiente. La sinistra ha davvero creato un’ortodossia soffocante che ha eliminato il dissenso. Se dici a metà del paese che la sua voce non conta, i senza voce rovesceranno il tavolo. Ma sebbene Trump abbia fatto una campagna elettorale rivendendosi come un populista Maga (Make America Great Again), facendo leva sul risentimento della classe operaia per ottenere il potere, governa come un elitario di Palm Beach. Trump ed Elon Musk sono miliardari che hanno frequentato l’Università della Pennsylvania. J. D. Vance ha frequentato la facoltà di Legge di Yale. Pete Hegseth ha frequentato Princeton e Harvard. Vivek Ramaswamy ha frequentato Yale e Harvard. Stephen Miller ha frequentato la Duke. Ted Cruz ha frequentato Princeton e Harvard. Secondo il New York Times, molti dei dipendenti del Doge, il “ministero” che si occupa di efficienza di Musk, provengono dalle istituzioni dell’élite: Harvard, Princeton, Morgan Stanley, McKinsey, Wharton. Sono i nichilisti di Vineyard Vines, i discendenti spirituali dei ragazzacci dell’élite della Dartmouth Review. Questo momento politico non si può riassumere in populista vs elitario; è come una guerra civile in una scuola privata, dove i ragazzi ricchi e sciatti si scontrano con i ragazzi ricchi e pretenziosi.
L’élite Maga è salita al potere grazie ai voti della classe operaia, ma – credetemi, conosco alcuni di loro – a loro non interessa la classe operaia. Trump e la sua squadra avrebbero potuto entrare in carica con piani concreti per migliorare la vita degli americani della working class. Un’Amministrazione che si preoccupasse di questi cittadini cercherebbe di affrontare i loro problemi, come il fatto che gli americani più poveri muoiono in media da 10 a 15 anni prima dei compatrioti con un reddito più alto, o che in prima media molti dei bambini dei distretti scolastici più poveri sono rimasti indietro di quattro classi rispetto a quelli più ricchi. Un’Amministrazione che si preoccupasse di queste persone avrebbe offerto una politica industriale bipartisan per creare posti di lavoro per la classe operaia. Questi finti populisti non hanno alcun interesse in questo senso. Invece di aiutare i lavoratori, si concentrano sulla guerra civile con le élite di sinistra. Nei primi mesi di mandato, una delle priorità di Trump è stata quella di distruggere i luoghi in cui pensa che lavorino le élite liberal: la comunità scientifica, la comunità degli aiuti all’estero, il Kennedy Center, il dipartimento dell’Istruzione, le università.
Si scopre così che quando si mescolano narcisismo e nichilismo, si forma un acido che corrode ogni sistema di pensiero che tocca. Questo cocktail trumpiano ha corroso il cristianesimo, una fede orientata agli emarginati. Beati i miti. Beati i poveri di spirito. I poveri sono più vicini a Dio dei ricchi. Più volte Gesù ha rinunciato esplicitamente al potere mondano. Ma se il trumpismo ha un principio centrale, è la brama sfrenata di potere mondano. Nei circoli trumpiani, molte persone si identificano ostentatamente come cristiani ma non parlano molto di Gesù; hanno croci sul petto ma Nietzsche nel cuore – o, per essere più precisi, una versione di Nietzsche da liceo. Per Nietzsche, tutti i pietismi cristiani sulla giustizia, la pace, l’amore e la civiltà sono costrizioni che i deboli erigono per evirare i forti. In quest’ottica, il pensiero di Nietzsche è una morale per vincitori. Adora le virtù pagane: potere, coraggio, gloria, volontà, autoaffermazione. Gli Übermenschen nietzscheani – che Trump e Musk credono chiaramente di essere – offrono la promessa di dominio sui sentimentalisti malati che praticano la compassione.
Due decenni fa, Michael Gerson, laureato al Wheaton College, un’importante istituzione evangelica, aveva aiutato George W. Bush ad avviare il Piano di emergenza del presidente degli Stati Uniti per l’aiuto all’Aids, che ha salvato 25 milioni di vite in Africa e altrove. Ho viaggiato con Gerson in Namibia, Mozambico e Sudafrica, dove le persone in fin di vita si erano riprese, erano tornate alle loro famiglie e conducevano una vita attiva. E’ stato un momento in cui essere orgogliosi di essere americani. Vought – il direttore del Bilancio di Trump, anche lui laureato alla Wheaton – ha promosso lo sventramento del Piano presidenziale d’emergenza per l’Aids (Pepfar), che ora è stato avviato con un ordine esecutivo, condannando di fatto a morte migliaia di persone. Il Project 2025, di cui Vought è stato uno dei principali artefici, ha contribuito a gettare le basi per lo smantellamento dell’UsAid; il suo smantellamento sembra aver posto fine a un programma di protezione dalla malaria per 53 milioni di persone e ha tagliato i pacchetti alimentari di emergenza per i bambini affamati. Vent’anni sono pochi per aver percorso la lunga distanza morale che c’è tra Gerson e Vought.
Il nichilismo trumpiano ha sventrato il conservatorismo. I membri di questa Amministrazione non sono conservatori. Sono l’opposto dei conservatori. Una volta i conservatori credevano in riforme costanti ma incrementali; Elon Musk crede in un’azione dirompente e istantanea. I conservatori un tempo credevano che le norme morali ci contenessero e ci civilizzassero, abituandoci alla virtù; il trumpismo distrugge le norme morali in ogni direzione, cavalcando un’onda di adulterio, abuso, crudeltà, immaturità, truffa e corruzione. Un tempo i conservatori credevano nel governo costituzionale e nella separazione dei poteri di stampo madisoniano; Trump abbatte i controlli e gli equilibri, declamando sui social media: “Chi salva il proprio paese non vìola alcuna legge”. Reagan promuoveva la democrazia all’estero perché la riteneva il sistema politico più coerente con la dignità umana; all’Amministrazione Trump non importa nulla di promuovere la democrazia, né la dignità umana.
Come andrà a finire? Qualcuno a destra riuscirà infine a resistere all’assalto trumpiano? Le nostre istituzioni resisteranno all’assalto nichilista? L’America è sull’orlo della rovina? A febbraio, a circa un mese dall’inizio del secondo mandato di Trump, ho parlato a Londra a un incontro di conservatori chiamato Alliance for Responsible Citizenship. Alcuni degli oratori erano populisti puri (Vivek Ramaswamy, Mike Johnson e Nigel Farage). Ma altri erano di centrodestra o non strettamente ideologici (Niall Ferguson, il vescovo Robert Barron e il mio collega dell’Atlantic Arthur C. Brooks). Per certi versi, è stato come le conferenze conservatrici cui ho partecipato per decenni. Ho ascoltato una signora del Senegal che parlava del tentativo di rendere la cultura del suo paese più imprenditoriale. Ho incontrato il direttore di una scuola privata del Bronx che si concentra sulla formazione del carattere. Ma per altri versi, questa conferenza è stata sorprendentemente diversa. Nel mio intervento, ho simpatizzato con la critica populista di ciò che è andato storto nelle società occidentali. Ma ho condiviso con il pubblico la mia visione buia del presidente Trump. Non sorprende che un ampio segmento del pubblico abbia fischiato vigorosamente. Un uomo ha urlato che ero un traditore e se n’è andato. Ma molte altre persone hanno applaudito. Anche nei distretti conservatori infettatiti dal Maga-ismo reazionario, alcune persone sono evidentemente stanche della brutalità trumpiana.
Man mano che la conferenza andava avanti, ho notato una gara di metafore. I veri conservatori hanno usato metafore riferite alla crescita o al recupero spirituale. La società è un organismo che ha bisogno di guarire, oppure è un tessuto sociale che deve essere ritessuto. Un poeta di nome Joshua Luke Smith ha detto che dobbiamo essere i semi della ricrescita, piantare gli alberi per le generazioni future. Il suo incanto era beatitudinale: “Ricordatevi dei poveri. Ricordatevi dei poveri”. Ma altri si sono affidati a metafore militari. Siamo nel bel mezzo di una guerra di civiltà. “Loro” – i wokers, i musulmani radicali, la sinistra – stanno distruggendo la nostra cultura. Ci sono state allusioni alle battaglie epocali finali del Signore degli Anelli, sottintendendo che Sauron sta guidando le sue orde di Orchi per distruggerci. Noi siamo l’eroico residuo. Dobbiamo schiacciare o essere schiacciati. I guerrieri tendono a pensare che quelli come me siano teneri e ingenui. Io tendo a pensare che siano narcisisti catastrofisti. Quando guardo gli accoliti di Trump, vedo uno sciame di Neville Chamberlain che pensano di essere Winston Churchill. Capisco il potere seduttivo di un demagogo che ti dice che le persone che ti guardano dall’alto in basso sono malvagie. Capisco il potere seduttivo di chi ti dice che la tua civiltà è sull’orlo del collasso totale e che tutto ciò che ti circonda è degenerazione e rovina. Questo messaggio dà una specie di brivido spaventoso: la posta in gioco è apocalittica. La vostra vita ha un senso e un’urgenza. Tutto è rotto, bruciamo tutto.
Capisco perché le persone che si sentono alienate vogliano seguire il leader che parla di dominio e combattimento, non quello che parla di guarigione e cooperazione. Non importa quante volte abbiate letto Edmund Burke o il Vangelo di Matteo: la tentazione di gettare via tutte le vostre convinzioni per sostenere il leader che promette di essere “la vostra vendetta” è sempre forte. L’America potrebbe entrare in un periodo di decadenza democratica e di isolamento internazionale. Ci vogliono decenni per sviluppare alleanze forti e per costruire le strutture e le abitudini della democrazia – e solo settimane per decimarle, come abbiamo appena visto. Eppure ho fiducia nel fatto che l’America sopravviverà a questa crisi. Molte nazioni, compresa la nostra, hanno attraversato crisi peggiori e più sanguinose e si sono riprese. In Upheaval: Turning Points for Nations in Crisis, lo storico e scienziato Jared Diamond fornisce casi di studio – il Giappone alla fine del XIX secolo, la Finlandia e la Germania dopo la Seconda guerra mondiale, l’Indonesia dopo gli anni Sessanta, il Cile e l’Australia durante e dopo gli anni Settanta – di paesi che sono tornati più forti dopo una crisi, un crollo o una sconfitta. A questi esempi, aggiungerei la Gran Bretagna negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo e negli anni Ottanta, e la Corea del sud negli anni Ottanta. Alcuni di questi paesi (come il Giappone) hanno sopportato la guerra; altri (il Cile) hanno sopportato torture di massa e sparizioni; altri ancora (Gran Bretagna e Australia) hanno sopportato la decadenza sociale e il declino nazionale. Tutti alla fine sono guariti e sono tornati indietro.
L’America stessa ha già attraversato numerosi periodi di rottura e riparazione. Alcuni pensano che stiamo vivendo un periodo di tumulti senza precedenti, ma la Guerra civile e la Grande depressione erano molto peggio. Lo stesso vale per la fine degli anni Sessanta: attentati, rivolte, una guerra fallita, un’impennata del tasso di criminalità, una società in disfacimento. Dal gennaio 1969 all’aprile 1970, negli Stati Uniti ci furono 4.330 attentati, circa nove al giorno. Ma negli anni 80 e 90, dopo aver superato il Watergate, la stagflazione e il “malessere” dell’era Carter degli anni 70, ci siamo ripresi. Per quanto brutale e dirompente sia stato il tumulto della fine degli anni 60, ha aiutato il paese a scrollarsi di dosso alcuni dei suoi mali persistenti, il razzismo e il sessismo, e ha reso possibile un’etica più libera e individualista.
Ma il parallelo storico più significativo potrebbe essere l’America degli anni Trenta del XIX secolo. Andrew Jackson è il presidente americano che più assomiglia a Trump: assetato di potere, avventato, narcisista, guidato dall’animosità. I suoi avversari lo chiamavano “re Andrew” per quanto ha voluto espandere il potere esecutivo. “L’uomo che abbiamo nominato Presidente si è fatto despota e la Costituzione giace ora ai suoi piedi come un cumulo di macerie”, dichiarò il senatore Asher Robbins del Rhode Island. “Quando la strada per raggiungere il suo obiettivo passa attraverso la Costituzione, questa non ha quasi nemmeno la resistenza di una ragnatela per impedirgli di sfondarla”. Jackson sfidò sfacciatamente la Corte suprema in una sentenza sul territorio della nazione Cherokee (una sfida, va notato, che il vicepresidente Vance ha esplicitamente appoggiato). “Sebbene viviamo sotto la forma di una repubblica”, scrisse il giudice della Corte suprema Joseph Story, “siamo in realtà sotto il governo assoluto di un solo uomo”.
Ma Jackson commise il classico errore del populista: si spinse oltre. Alimentato dall’ostilità personale nei confronti delle élite, distrusse la seconda banca degli Stati Uniti, antenata del sistema della Federal Reserve, e contribuì a scatenare una depressione economica che rovinò l’Amministrazione del suo successore, Martin Van Buren. In risposta a Jackson, negli anni Trenta dell’Ottocento sorse il partito Whig per creare un nuovo ordine politico e sociale. Antiautoritari devoti, i Whig erano una forza culturale, civica e politica allo stesso tempo. Enfatizzavano sia la moralità tradizionale sia i miglioramenti progressivi. Si battevano per la riforma delle carceri e per il rispetto del sabato, per una maggiore partecipazione delle donne alla politica e per un esercito forte, per scuole pubbliche finanziate dal governo e per politiche governative favorevoli al commercio. Si opponevano al mostruoso Indian Removal Act di Jackson e alla visione sociale reazionaria e suprematista dei bianchi del Partito democratico. Mentre i democratici jacksoniani enfatizzavano la libertà negativa – get your hands off me: giù le mani – i Whig, che si sarebbero trasformati nel primo Partito repubblicano di Abraham Lincoln, enfatizzavano la libertà positiva, dando agli americani la possibilità di vivere una vita migliore e più ampia grazie a strumenti come l’espansione del credito economico, l’istruzione pubblica gratuita e il rafforzamento delle tutele legali, tra cui il giusto processo e i diritti di proprietà.
Anche se siamo arrivati a chiamare l’inizio e la metà del XIX secolo l’età di Jackson, lo storico Daniel Walker Howe osserva che non fu Jackson, ma i Whigs a creare l’America che conosciamo oggi. “Come modernizzatori economici, come sostenitori di un forte governo nazionale e con una sensibilità più ricettiva rispetto a quella dei loro rivali verso i talenti, indipendentemente dalla razza e dal sesso”, scrive Howe, i Whigs “facilitarono la trasformazione degli Stati Uniti da un insieme di comunità agricole parrocchiali in una nazione cosmopolita integrata dal commercio, dall’industria, dall’informazione e dalle associazioni volontarie così come dai legami politici”. Guardando indietro, conclude Howe, possiamo vedere che anche se non erano il partito dominante del loro tempo, i Whigs “erano il partito del futuro dell’America”. Per iniziare a riprendersi dal trumpismo, l’America ha bisogno del suo prossimo momento Whig.
Sì, abbiamo raggiunto un punto di rottura traumatico. Un demagogo è salito al potere e sta distruggendo tutto. Ma è probabile che il demagogo inizi a commettere errori, perché l’incompetenza è parte integrante del progetto nichilista. I nichilisti possono solo distruggere, non costruire. Il nichilismo autoritario è intrinsecamente stupido. Non voglio dire che i trumpiani abbiano un basso quoziente intellettivo. Voglio dire che fanno cose che vanno direttamente contro i loro stessi interessi. Sono patologicamente autodistruttivi. Quando si crea un’Amministrazione in cui un uomo ha tutto il potere e tutti gli altri devono adulare il suo ego vorace, si ottiene la stupidità. Gli autoritari sono anche moralmente stupidi. L’umiltà, la prudenza e l’onestà non sono solo virtù piacevoli da avere: sono strumenti pratici che producono buoni risultati. Quando le si sostituisce con l’avidità, la lussuria, l’ipocrisia e la disonestà, accadono cose terribili. I ragazzi del Doge sono indubbiamente brillanti sotto certi aspetti, ma sanno di governo quanto io so di missilistica.
Hanno annunciato un taglio di 8 miliardi di dollari a un contratto per l’Immigration and Customs Enforcement (Ice), anche se, se avessero letto correttamente i loro stessi documenti, avrebbero capito che il taglio era inferiore a 8 milioni di dollari. Hanno eliminato dipendenti dalla National Nuclear Security Administration, apparentemente senza rendersi conto che questa agenzia controlla la sicurezza nucleare, e hanno dovuto annullare alcuni di questi tagli poco dopo. Sembra che Trump voglia dare a un gruppo di Sam Bankman-Frieds l’accesso all’arsenale nucleare americano e ai registri del fisco. Cosa potrà mai andare storto? Quando Trump crea una crisi non necessaria, è improbabile che sia di poco conto. I proverbiali “adulti nella stanza” che hanno contenuto le crisi nel primo mandato di Trump non ci sono più. Qualunque sia la crisi del secondo mandato – un’inflazione in crescita, una guerra commerciale globale, un’economia in crisi e un mercato azionario in crollo, un conflitto fuori controllo in Cina, una gestione pasticciata di una pandemia, un dirottamento della Costituzione con una sfida ai tribunali – è probabile che distrugga il suo sostegno e sposti il momentum altrove. Ma sebbene il crollo del trumpismo sia una condizione necessaria per la ripresa nazionale, non è sufficiente. Il suo crollo deve essere seguito da un duro lavoro per ottenere un vero rinnovamento civico e politico.
Il progresso non è sempre una corsa tranquilla o allegra. Per alcuni decenni, le nazioni vivono secondo un paradigma. Poi questo smette di funzionare e viene distrutto. Quando arriva il momento di costruire un nuovo paradigma, i progressisti parlano di ridistribuzione economica; i conservatori parlano di riparazione culturale e civica. La storia dimostra che sono necessarie entrambe: la ripresa da una crisi nazionale richiede una reinvenzione completa a tutti i livelli della società. Se si guarda indietro nei secoli, si scopre che questo processo richiede diversi sforzi interconnessi. In primo luogo, un cambiamento di valori a livello nazionale. Alla fine del XIX secolo, per esempio, mentre il paese attraversava lo straziante processo di industrializzazione, l’America fu traumatizzata da gravi recessioni e da una povertà urbana di massa. In risposta, il darwinismo sociale ha lasciato il posto al movimento del Vangelo sociale. Il darwinismo sociale, associato a pensatori come Herbert Spencer, valorizzava la sopravvivenza del più adatto e sosteneva che i poveri sono poveri a causa di capacità inferiori. Il movimento del Vangelo sociale, associato a teologi come Walter Rauschenbusch, enfatizzava le cause sistemiche della povertà, tra cui la concentrazione del potere aziendale della Gilded Age. All’inizio del XX secolo, la maggior parte delle denominazioni protestanti principali aveva sottoscritto il credo sociale delle Chiese, che chiedeva, tra l’altro, l’abolizione del lavoro minorile e la creazione di un’assicurazione per l’invalidità.
In secondo luogo, le nazioni che restano unite durante le crisi hanno una forte identità nazionale: tornano alle loro radici. Hanno un leader che sostituisce l’amoralismo dei nichilisti o, per esempio, l’immoralità della schiavitù, con una forte ridefinizione della missione morale della nazione, come Lincoln ha ridefinito l’America a Gettysburg. Terzo, un rinascimento civico. Dopo l’attecchimento del Vangelo sociale, gli americani del 1890 e dell’inizio del 1900 hanno lanciato e partecipato a una serie di movimenti sociali e organizzazioni civiche: United Way, la Naacp, il Sierra Club, il movimento delle case popolari, la Legione americana. Quarto, una rivalutazione nazionale. Come nota Jared Diamond, le nazioni che si rivoltano non si catastrofizzano. Piuttosto, sviluppano una visione chiara di ciò che funziona e non funziona e perseguono un cambiamento attento e selettivo. Secondo la ricerca di Diamond, i leader dei movimenti di riforma di successo si assumono anche la responsabilità del loro ruolo nella crisi. Per esempio, i leader tedeschi si sono assunti la responsabilità del passato nazista del paese; i leader finlandesi si sono assunti la responsabilità di una politica estera irrealistica prima della Seconda guerra mondiale, quando dovevano affrontare l’incombente Unione sovietica sul loro confine; e i leader australiani si sono assunti la responsabilità, negli anni 70, di una cultura politica e di una politica estera che erano diventate eccessivamente dipendenti dalla Gran Bretagna. Quinto, un’ondata di riforme politiche. Nella Gran Bretagna degli anni 30 e 40 dell’Ottocento – afflitta dal caos sociale, dai fallimenti bancari, da una grave depressione, da rivolte e da una schiacciante disuguaglianza della ricchezza – il primo ministro Robert Peel, un leader di grande rettitudine morale, costruì la moderna forza di polizia, ridusse i dazi, promosse una legislazione ferroviaria che pose letteralmente le basi per l’industrializzazione britannica e contribuì ad approvare il Factory Act del 1844, che regolamentava i luoghi di lavoro. Nell’America del primo Novecento, i progressisti produssero una serie analoga di riforme efficaci che fecero uscire il paese dalla crisi dell’industrializzazione.
Una parte della riforma politica consiste nell’allargare la cerchia del potere. Nell’America di oggi ciò richiederebbe, tra le altre cose, un ampio sforzo per includere le voci della classe operaia e dei conservatori in quelli che tradizionalmente sono stati i bastioni culturali del progressismo d’élite: le università, il settore no profit, la funzione pubblica, i media tradizionali. Infine, l’espansione economica. La crescita economica può curare molte ferite. Perseguire la cosiddetta agenda dell’abbondanza – un insieme di politiche volte a ridurre la regolamentazione governativa e ad aumentare gli investimenti nell’innovazione, nonché ad ampliare l’offerta di alloggi, energia e assistenza sanitaria – è il modo più promettente per raggiungere tale espansione. Nel lungo termine, il trumpismo è condannato. Il potere senza prudenza e umiltà fallisce sempre. Le nazioni, come le persone, cambiano non quando i tempi sono buoni, ma in risposta al dolore. In un momento in cui il trumpismo sembra divorare tutto, la tentazione è quella di credere che questa volta sia diverso. Ma la storia non smette di muoversi. Anche ora, mentre viaggio per il paese, vedo le forze della riparazione riunirsi nei quartieri e nelle comunità. Se fate parte di un’organizzazione che costruisce fiducia tra le classi, state combattendo il trumpismo. Se siete democratici che abbandonano l’insulare progressismo da salotto a favore di un programma di abbondanza della classe operaia simile a quello dei Whig, state combattendo il trumpismo. Se vi battete per un codice morale di tolleranza e pluralismo che possa tenere insieme l’America, state combattendo il trumpismo. Nel tempo, i cambiamenti nei valori portano a cambiamenti nelle relazioni, che portano a cambiamenti nella vita civile, che alla fine portano a cambiamenti nella politica e quindi nella traiettoria generale della nazione. Si inizia lentamente, ma come dice il Libro di Giobbe, le scintille voleranno verso l’alto.
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