Ma chi l’ha pensata questa tamarrata incivile. Un campionario in musica del peggiore conformismo ideologico, al posto della Grande Manifestazione Collettiva, che razza di idea
Bisognerebbe ripristinare il corteo del Primo maggio e abolire quella tamarrata incivile del Concertone. Il corteo era organizzato non da discografici o altri energumeni del mondo del commercio musicale, politicamente e civilmente en travesti, ma da onesti (più o meno) funzionari di partito e da dirigenti del sindacato, da segretari di sezione e attivisti Arci, e altri generosi compagni. Tutta o quasi tutta brava gente che credeva in quel che faceva (più o meno) e faceva quel che credeva (più o meno). La dimostrazzzzione non dipendeva dalle riprese televisive e da altri videazzi & schiamazzi, erano le telecamere che dipendevano dal corteo. Non c’erano gli esibizionismi personali e di band, i famosi insopportabili monologhi, sempre a sfondo umanitario, sempre contro la guerra il razzismo e il fascismo e il sessismo in vocalità sanremese, sempre incuranti del giusto e dell’ingiusto ma moralmente blindati da parole inutili e roboanti come tatuaggi mal fatti, sempre sensibili alle oscene vibrazioni dell’attualità.
C’erano le solite canzoni, gli altoparlanti, i furgoni, i manifesti, il formidabile gracchiante noiosissimo Inno dei lavoratori che intonava il riscatto in nome dei figli (… dei tuoi figli opra sarà… o vivremo del lavoro … o lottando si morrààààà…), c’erano la gioia carnevalesca della sfilata, i bambini, i palloncini, la folla era accuratamente distanziata dal servizio d’ordine, il passo lento e cadenzato, un tripudio di bandiere e di sbadati o attenti slogan, il senso divino del fiume di folla in cammino come Aretusa in fuga nelle metamorfosi di Ovidio, la prospettiva della magnata fuori porta o in trattoria, la festa della convivialità senza attufamento, strusciamento e a quanto pare anche abuso. Palestina libera dal palco, graziosamente intonata sulle care note di una canzone amata dagli israeliani, e toccatina libera sotto il palco.
Ma che orrore, il Concertone, a partire dal nome che ha la dismisura un Super Big Mac del proletariato postmarxista e consumista. Non si capisce nemmeno da quando, da quanto tempo, per decisione di quali autorità del divertimento fasullo, il corteo è stato rimpiazzato dalla kermesse televisiva e social del rifiuto del lavoro, così diversa come ideologia del Primo maggio dal riscatto del medesimo. Ma poi la sconsacrazione di piazza San Giovanni, quel luogo meraviglioso dove nel 1968 gli studenti contestavano i sindacati operai in nome degli operai, e Vittorio Foa li applaudiva nello scandalo dell’apparato comunista, quel luogo cabalistico di conta della forza, eravamo in centomila, eravamo un milione, ma sempre con la gratuità di un’epoca in cui i numeri non erano una classifica da stardom alla Taylor Swift ma una dimostrazione razionale e irrazionale di potenza politica e sociale, nel ricordo dei comizi di Togliatti per il 18 aprile.
Il Concertone-one-one con mezzo stupretto incorporato, con adesione fanatica anche più del fanatismo d’antan, un campionario in musica del peggiore conformismo ideologico, al posto della Grande Manifestazione Collettiva, che idea del cazzo. Fuck il Concertone. Certe volte non c’è altro riparo se non il tornare indietro e riprendere il cammino incuranti del nuovo costume fatto per celebrare la pigrizia delle generazioni e dei loro stupidi cambiamenti di parata. Viva il corteo e il servizio d’ordine, che almeno le ragazze della terza fila le sapeva proteggere dalle mani sudaticce dei palpeggiatori.