Tremi chi è innocente, un romanzo familiare arricchito dalla tensione del noir

Barbara Frandino torna con il nuovo libro a sondare le crepe dell’amore e della famiglia, mescolando il dolore sommesso della fragilità mentale al mistero di una morte sospetta. In una lingua intima e affilata, racconta una colpa senza certezza, in un noir psicologico dove anche l’innocenza trema

Barbara Frandino allenta la crudeltà con cui siglava il suo penultimo romanzo e mette sulla pagina una storia che s’è addolcita nella misura in cui, sulla tragedia, c’è quasi un’arrendevolezza di fondo. Tremi chi è innocente (Einaudi, 2025) racconta di nuovo la fine dell’amore, ma davanti alla morte e dal punto di vista più innocente possibile. Con la cifra della suspense: l’indagine della colpa. “Da quando ho iniziato a curarmi, ogni volta che vado a pisciare penso ai gamberi di fiume” confessa l’io narrante, un ragazzo. “Dicono che le scorie degli antidepressivi che arrivano dalle fogne li rendano voraci e antisociali”. Soffre Nico, in silenzio. Imprigionato due volte: nel turbine dei pensieri sui quali sente di aver perso il dominio e nelle pareti di una casa, quella dei suoi genitori, dove capisce che nulla è come sembra, ma anche sembrasse com’è davvero, a maggior ragione non funzionerebbe. “Dopo quanto tempo troverebbero il mio cadavere?”, si chiede. Eppure non è il suo il cadavere che viene ritrovato. Ma la colpa crede sia la sua. Perché lui, quell’uomo ch’è stato ucciso, affogato anche se sapeva nuotare bene, lo voleva morto.


“Ho dieci anni […] mio padre costruisce una versione pro del nostro mondo, per renderlo più performante e quindi più felice. Mamma si occupa di spolverarlo, riordinarlo, mantenerlo accogliente: i fiori freschi nei vasi, le torte nel forno, Hai preso le vitamine? […] Poi ho tredici anni e la camera iperbarica in cui viviamo ha smesso di funzionare, ma ci mettiamo un po’ prima di accorgercene”. E quando l’equilibrio si guasta è possibile qualsiasi deriva. “Una cosa che mia madre non riusciva a tollerare era la furia con cui papà si rimpinzava di cibo” e, di contro, quest’uomo cura le piante del soggiorno, già morte, scaricando un’app sul cellulare e fingendo di rianimare un cadavere. “Lo sanno entrambi che quelle piante hanno tirato le cuoia da un pezzo”. Invece Lorenzo Costa, l’uomo trovato morto, il professore di Nico, “sembrava fatto di un’altra materia. Era una polvere sottile, un gas: era penetrato nel mondo di mia madre e l’aveva convinta a seguirlo nel suo”. Quindi chi l’ha ucciso Costa, e perché? L’indagine è psicologica, viziata dalla parzialità del punto di vista che è quello di Nico, troppo giovane per capire, troppo sensibile per essere lucido, troppo coinvolto per ricostruire la banalità del male, troppo intelligente per sopravvivere a se stesso.

“Quella povera testa. Diventerà tanto pesante che il collo non riuscirà a sostenerla. Ci vorrebbe uno sfiatatoio. L’energia produce frequenze. Falle uscire, lascia che incontrino altre frequenze”. La risposta sta sempre lì: nella ricerca dell’altro. Ecco perché Frandino s’è raddolcita. Nella corsa verso la verità, poi, la scrittrice usa una lingua aderente, che vede i fatti e le azioni e si rannicchia nelle intenzioni. Tremi chi è innocente ha le fattezze di un romanzo familiare ma la tensione del noir e, come accade nel noir, il giudizio è sospeso. Più del noir ha la capacità di produrre immedesimazione, di raccontare vite che (non) potrebbero essere la nostra e invece lo sono. Frandino scrive un romanzo che “sfiata”. Grazie.

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