L’euforia post fiera era giustificata: nei dieci anni che ci separano da Expo, Milano ha registrato un arricchimento non solo umano, ma anche materiale. Una scelta che si è rivelata un successo, secondo Carlo Cerami. Ma la pandemia ha fatto emergere l’urgenza di un riequilibrio
C’è stato un momento di euforia post Expo ben rappresentato dalla famosa copertina del New York Times che qualificava Milano come “a place to be”. Un’immagine un po’ appannata a vederla oggi in cui il dibattito pubblico è imperniato su come fare ripartire questa città. Ma è indubbio che già prima e poi dopo il 2015 l’attrattività del modello Milano era molto forte, come testimoniato da due fenomeni. C’era chi voleva vivere un’esperienza all’ombra della Madonnina solo per qualche giorno e così le strade hanno iniziato a riempirsi di turisti, fatto pressoché sconosciuto fino alla data di Expo: nel 2000 le presenze erano circa 3 milioni, già diventate oltre 5 nel 2009 – il 2009 è l’anno in cui si iniziò a costruire il Bosco Verticale, destinato a diventare dal 2014 il simbolo della nuova skyline milanese . Dieci anni dopo si è arrivati a 8 e lo scorso anno si è sfondata quota 9. Una trasformazione impensabile per una città mai stata turistica, dove ad agosto gli alberghi restavano chiusi. C’erano poi coloro che invece intendevano vivere qui in pianta stabile, così la popolazione che nel 2008 era scesa sotto il milione e 300 mila, il 30 settembre 2019 arrivava a toccare 1.400.000, con Beppe Sala che riceveva a Palazzo Marino il giovane catanese neo residente che aveva consentito di raggiungere una soglia da anni Settanta. Oggi il numero è rimasto invariato nonostante Covid, una natalità bassissima e una mega migrazione verso l’hinterland alla ricerca di prezzi più abbordabili.
Nei dieci anni che ci separano da Expo l’arricchimento non è stato solo umano, ma anche materiale. Nel 2014 il reddito pro capite in città era di 30 mila euro, nel 2025 è di circa 35 mila: stiamo parlando di quello medio perché a Citylife è di 83.316 euro, Duomo e Brera raggiungono i 77.264 euro, Sant’Ambrogio 73.871. Sono aumentati i milionari, sono cresciuti gli investimenti in particolare nel settore immobiliare che negli anni pre pandemia hanno rappresentato il 60-70 per cento di quelli nazionali. Sono cresciuti i servizi con 2 nuove linee metro inaugurate nel giro di 8 anni, con un verde pro capite di 88 mq, inferiore alla metà delle città italiane ma in costante crescita anche grazie al progetto Forestami e mobilità sempre più “dolce” che tra ciclabili, zone 30 e piazze aperte che mira a raggiungere gli standard europei di traffico urbano.
Che Expo sia stato il volano di questo sviluppo è la convinzione di Carlo Cerami: “Milano viveva una crisi partita nel 2009 e seppe interpretare un ruolo di traino a livello nazionale, la scelta di Expo si rivelò un successo che accelerò la rigenerazione grazie alla capacità di attrarre investimenti privati e ben gestire robuste iniezione di risorse pubbliche che rilanciarono l’edilizia”. Secondo il presidente di Redo il 2015 è uno spartiacque nel calendario ambrosiano: “Allora Milano cambia pelle, si sviluppa la rete commerciale e l’hospitality, cresce la vocazione a guardare al di fuori del contesto nazionale che è sempre stata nelle corde di una città che diventa finalmente globale, acquista una dimensione sovranazionale: in questo processo virtuoso gioca un ruolo determinate la pubblica amministrazione che si dimostra all’altezza delle aspettative espresse dall’economia, da un mercato moderno”. Una corsa esaltante che però inizia a mostrare qualche cedimento e a escludere alcune parti che si sentono tagliate fuori, la questione immobiliare e di edilizia residenziale sostenibile esplosa negli ultimi anni va affrontata, senza demagogie e con vigore: “La pandemia ha fatto emergere l’urgenza di un riequilibrio, sono necessarie risorse ingenti che ora non ci sono: il Pnrr non è indirizzato alle infrastrutture sociali, è un’occasione persa.
Nonostante questo restiamo una città attrattiva per i giovani, la crisi in corso è temporanea, non strutturale ma dobbiamo stare attenti a come ripartire, in particolare a rilanciare l’ascensore sociale”.
Il discorso su Expo non può esaurirsi in termini economico-finanziari. Nei momenti in cui la manifestazione è stata a rischio è emerso lo spirito ambrosiano che ha contribuito alla svolta: “Nel 2011 il progetto era fermo – ricorda Franco D’Alfonso, allora uomo forte della giunta Pisapia – e c’era grande scetticismo nell’opinione pubblica e politica, anche di maggioranza. Ribaltammo il tema, riuscimmo a trasmettere l’idea un fatto della città e la reazione fu forte: dopo i disordini del 1° maggio in centro 20 mila persone andarono a ripulire i muri, fu un momento di alto civismo, emerse quel municipalismo che fa parte della storia di Milano”. Secondo D’Alfonso quell’iniziativa pubblica ha segnato la politica degli anni successivi: “L’esperienza dell’amministrazione Sala, nata fuori dai partiti, nasce dal municipalismo. Quella stagione è finita con il Covid, il civismo ha preso strade diverse e oggi la politica dev’essere ripensata”.