C’è l’accordo tra Stati Uniti e Ucraina sui minerali

È stata firmata l’intesa sulla gestione delle risorse ucraine ed è molto diversa dalle premesse predatorie che la Casa Bianca voleva imporre. Trump aveva promesso di far finire la guerra in cento giorni, invece è questo il primo risultato ottenuto dalla sua Amministrazione. Il segnale a Mosca e i limiti dello sfruttamento

Il primo risultato, dopo l’incontro fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky nella basilica di San Pietro mezz’ora prima che iniziassero le esequie di Papa Francesco, è stato raggiunto ieri con la firma dell’accordo sui minerali fra Stati Uniti e Ucraina.

Il capo della Casa Bianca voleva dare un segnale agli americani per mostrare che gli Stati Uniti avrebbero avuto una ricompensa tangibile per il sostegno dato a Kyiv in questi anni di guerra contro la Russia. Dopo l’incontro in Vaticano, non si sono sentite critiche all’Ucraina o a Zelensky da parte di Trump, che invece subito dopo il viaggio a Roma ha scritto un post sulla sua piattaforma Truth accusando, per la prima volta, Vladimir Putin di non voler mettere fine alla guerra e di prenderlo in giro. Il capo del Cremlino ha risposto proclamando una tregua di tre giorni dall’8 all’11 maggio e la Casa Bianca, anziché mostrarsi soddisfatta dell’iniziativa russa, ha ribattuto che il cessate il fuoco deve essere permanente. Trump ha mostrato di fidarsi di Putin oltre ogni limite, aveva giurato di mettere fine alla guerra in cento giorni, ma fino a questo momento, l’unico risultato che può mostrare agli americani è l’accordo con Kyiv e riguarda la gestione delle risorse ucraine.

Cosa prevede l’accordo

È stata la vicepremier Yulia Svyrydenko a firmare l’accordo, che, garantiscono le autorità ucraine, lascia a Kyiv la piena proprietà e il pieno controllo su tutte le sue risorse. Tutto resta di proprietà dell’Ucraina e già questo punto evidenzia quanto l’accordo sia molto diverso rispetto a quanto preteso inizialmente dalla Casa Bianca. In base all’intesa, è Kyiv che determina quali risorse verranno estratte e la gestione sarà affidata a una partnership paritaria attraverso un fondo di investimento per la ricostruzione “strutturato su una base di 50 e 50”, senza che nessuna delle due parti abbia un ruolo dominante: per l’Ucraina questa parità era molto importante, senza non si poteva arrivare all’accordo, che sarebbe stato predatorio nei confronti del paese. Sarà questo fondo a investire nell’estrazione di minerali, gas e petrolio e in tutte le infrastrutture necessarie. I progetti di estrazione saranno stabiliti da Ucraina e Stati Uniti insieme. Per dieci anni i profitti generati dal fondo saranno reinvestiti in Ucraina e serviranno alla ricostruzione e al sostegno dell’economia del paese nella sua ripartenza.

Gli Stati Uniti non avranno nessun controllo completo sulle risorse del paese e le aziende come la Ukrnafta, che produce petrolio e gas, e la Enerhoatom, che si occupa di energia nucleare, rimarranno di proprietà dello stato ucraino. Un’altra clausola che è stata rimossa è quella che riguarda gli obblighi del debito ucraino nei confronti di Washington e che di fatto condannava l’Ucraina al fallimento. Così delineata, l’intesa non vìola la sovranità dell’Ucraina e non pone un problema costituzionale che avrebbe impedito al presidente di decidere sulle risorse del paese che, secondo la Costituzione, appartengono al popolo.

La firma avvicina Kyiv alla Casa Bianca trumpiana, con cui i rapporti sono stati difficili e sembravano irrimediabilmente compromessi dopo il litigio in diretta nello Studio Ovale: a fine febbraio Zelensky era andato a Washington per delineare l’accordo sui minerali, che venne sabotato da un agguato del vicepresidente J.D. Vance, del presidente stesso e di alcuni giornalisti scelti dalla Casa Bianca che iniziarono ad attaccare il leader ucraino con accuse molto gravi: dissero che aveva voluto una guerra che non poteva vincere, che era irriconoscente e lo criticarono per non indossare mai l’abito.

Trump allo scadere dei suoi cento giorni può vantare di aver raggiunto un accordo e forse la firma indica anche che gli Stati Uniti non si ritireranno dai negoziati per arrivare alla fine del conflitto. Il segretario del Tesoro, Scott Bessent, ha scritto in una nota che l’accordo mostra tutta la volontà americana di “porre fine a questa guerra crudele e insensata … e segnala chiaramente alla Russia che l’Amministrazione Trump è impegnata in un processo di pace incentrato su un’Ucraina libera, sovrana e prospera nel lungo termine”.

Restano tre punti che comunque non rendono facile l’attuazione dell’accordo: estrarre le risorse è costoso e gli studi sul sottosuolo ucraino sono molto datati e risalgono all’epoca sovietica. Anche se gli studi confermassero i dati a disposizione rimane una pesante limitazione: tra il 20 per cento e il 40 per cento dei giacimenti è situato nella parte dell’Ucraina sotto occupazione russa.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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