Si accusa la scienza di “parzialità ideologica”. L’attacco non è contro le singole riviste, ma contro il principio stesso di affidabilità autonoma del sapere scientifico. L’obiettivo è delegittimare e controllare la produzione scientifica
Il 14 aprile 2025, il medico e politologo Eric Reinhart pubblica su X una lettera firmata da Edward R. Martin Jr., nominato procuratore distrettuale ad interim a Washington D.C. dall’Amministrazione Trump. Reinhart la definisce “un atto intimidatorio”, corrispondente a “tattiche fasciste”. Il destinatario è il direttore della rivista Chest, Peter Mazzone, pneumologo della Cleveland Clinic. L’oggetto: chiedere conto di eventuali parzialità ideologiche nella selezione degli articoli scientifici pubblicati. La lettera non è un’osservazione generica, ma un interrogatorio formale. Martin chiede se la rivista pubblica “punti di vista concorrenti”, come valuta la disinformazione, quali criteri usa per discernere contenuti influenzati da finanziatori o sponsor, se prende posizione su controversie scientifiche e come gestisce le accuse di scorrettezza rivolte agli autori. La scadenza per rispondere è fissata al 2 maggio.
Non si tratta di un caso isolato: almeno altre due riviste, non nominate pubblicamente, hanno ricevuto lettere simili. Contemporaneamente, emerge una bozza del bilancio 2026 del Department of Health and Human Services in cui si prevede la soppressione dei finanziamenti a due riviste scientifiche open access pubblicate dai Cdc: Emerging Infectious Diseases e Preventing Chronic Disease. Si tratta di testate con peer review, libere per lettori e autori, accessibili nei paesi a basso reddito e centrali per la salute pubblica globale. Secondo la bozza, la chiusura rientrerebbe in una “razionalizzazione” delle attività dei Cdc, ma non vengono forniti criteri oggettivi: le due riviste sono colpite, mentre Morbidity and Mortality Weekly Report è risparmiata. Nessun altro dettaglio. Nessuna garanzia.
Il quadro che si delinea è netto: da un lato, un’azione diretta del potere esecutivo nei confronti dell’editoria scientifica indipendente, tramite l’uso del potere giudiziario come leva di pressione; dall’altro, la minaccia economica rivolta a pubblicazioni non allineate, in un contesto in cui già da mesi la nuova direzione dell’Nih – affidata da Trump a Jayanta Bhattacharya, noto critico delle misure sanitarie anti-Covid – lamenta l’esistenza di una presunta “parzialità ideologica” nella scienza americana. Le accuse sono vaghe, ma l’intento è preciso: imporre un principio di “pluralismo ideologico” alla pubblicazione scientifica.
Tuttavia, come osserva Jeremy Berg, ex direttore degli Science Journals, questo non è un dibattito accademico: è l’azione di un procuratore. “Non è una lettera di chiarimento editoriale”, dice, “è un messaggio: vi stiamo guardando”. Michael Eisen, già editor di eLife, la definisce parte della “raffica di attacchi contro università, riviste e accademia” orchestrata dall’attuale amministrazione. E JT Morris, costituzionalista della Foundation for Individual Rights and Expression, lo dice senza ambiguità: “Le scelte editoriali di una rivista non sono affari del governo. Un procuratore che le mette sotto indagine non difende la Costituzione. Abusa del suo potere”.
Non si tratta solo di principio: c’è un metodo. La lettera è costruita per insinuare il sospetto. Chiede di dichiarare se gli articoli riflettano influenze esterne, se il legame con l’Nih possa generare conflitto d’interessi. Si allude a una corruzione implicita dell’intero processo editoriale. Ma chi conosce il funzionamento delle riviste peer-reviewed sa che ogni sottomissione è sottoposta a verifica indipendente, spesso cieca, e che le influenze economiche, se esistono, sono già regolamentate da norme di trasparenza imposte da organismi come Cope o Icmje. La lettera ignora deliberatamente tutto questo: non è costruita per capire, ma per sospettare.
E mentre i procuratori scrivono, si tagliano i bilanci. Emerging Infectious Diseases, con un impact factor di 7.2 e oltre 500 articoli l’anno, molti dei quali prodotti da ricercatori in paesi a basso reddito, rischia di scomparire. Lo stesso vale per Preventing Chronic Disease, rivista storica su disuguaglianze sanitarie e prevenzione, nota per i suoi bandi aperti agli studenti di medicina pubblica. Il messaggio implicito è questo: se il sapere è libero e accessibile, non è più sotto controllo. Va disattivato.
L’Amministrazione Trump ha già mostrato, durante il primo mandato, come intendesse il rapporto con la scienza: minacce a epidemiologi, promozione di terapie infondate, silenziamento delle comunicazioni pubbliche. Oggi il meccanismo si è raffinato: si attacca la legittimità dei canali di pubblicazione. Si accusa la scienza di essere ideologica per poterla sostituire con l’ideologia spacciata per scienza.
Il punto più grave non è nella forma, ma nella finalità. L’attacco non è contro singole riviste, ma contro il principio stesso di affidabilità autonoma del sapere scientifico. L’obiettivo non è correggere gli errori, ma insinuare che ogni verità sia opinione, ogni peer review un atto politico, ogni rigore un’esclusione – insomma i classici topos del Maga e dei cospirazionisti e populisti di ogni angolo del pianeta. Così si capovolge il fondamento stesso del metodo scientifico, perché si porta la discussione lontana dai fatti, e nel regno delle contrapposte ideologie – ma soprattutto, ancora una volta, sotto l’arbitrio del potere politico.