La conversazione a lungo segretissima che ha spostato la Silicon Valley verso Trump

Il sito Semafor ha scoperto le conversazioni di un gruppo ristretto di investitori e imprenditori tech che non le loro idee e opinioni hanno contribuito al cambio d’umore politico del settore. Uno scambio nato durante la pandemia e poi approdato su Signal

Questa potrebbe essere l’epoca delle chat di gruppo. Oltre alle innumerevoli chat che vengono usate ogni giorno da chiunque di noi, infatti, ne esistono anche di elitarie: gruppi digitali che raccolgono manipoli di potenti che discutono, tessono le fila, decidono. Lo abbiamo visto a fine marzo, quando il direttore dell’Atlantic fu aggiunto per errore a una chat su Signal (app di messaggistica crittografata e sicura) dall’apparato di difesa e sicurezza dell’Amministrazione Trump. Era solo l’inizio. Il sito Semafor ha scoperto l’esistenza di una chat di gruppo in cui imprenditori tecnologici, investitori, giornalisti e startupper si scambiano informazioni e, nel corso degli anni hanno iniziato quella deriva politico-culturale che ha portato all’abbraccio del settore tecnologico a Donald Trump. Lo chiamano vibe shift, un cambiamento d’umore impercettibile ma reale, che ha radicalizzato la Silicon Valley, spinta verso destra dalla cultura woke e dai lockdown pandemici forzati. Se di vibe shift si è trattato, questo è avvenuto segretamente proprio su Signal, in un gruppo chiamato “Chatham House” (dal nome di un centro studi britannico specializzato in analisi geopolitiche). Ma non è l’unico gruppo del genere: Marc Andreessen, cofondatore del fondo di investimenti a16z, pare frequentare un centinaio di chat simili, su Signal ma anche su WhatsApp e Telegram (quest’ultima ha discussi legami con la Russia che comporterebbero un rischio per la sicurezza di questi scambi ma non sembra importargli).

Radicalizzazione collettiva di miliardari frustrati? Non secondo Andreessen, che ha trovato in questi canali chiusi e protetti una nuova libertà, lontana dagli eccessi woke del periodo pandemico, quando nelle piattaforme social, sostiene, non si poteva più discutere apertamente senza rischiare conseguenze (mediatiche o economiche). L’investitore non ha dubbi: chat come Chatham House sono “l’equivalente del samizdat”, la stampa clandestina dell’Unione sovietica. Sriram Krishnan, ex partner di a16z, le ha definite “la controcorrente memetica dell’opinione dominante”. Pur esistendo da almeno quattro anni, chat di gruppo come questa sono rimaste segrete: non ci sono stati leak, nessuno ha pubblicato screenshot passandoli alla stampa. I partecipanti, che includono anche miliardari “di sinistra” come Mark Cuban, per quanto la quota liberal sia minoritaria, rispettano la segretezza della conversazione, senza contare che su Signal è possibile inviare messaggi che spariscono dopo trenta secondi. Secondo Andreessen, quest’ultima funzione è alla base del fenomeno. Solo negli ultimi mesi lo stesso Andreessen ha cominciato a parlarne, accennando a queste chat in qualche podcast. La prima rottura nel gruppo – da cui è nata anche la storia di Semafor – è stata esogena: fino a quando si trattava di parlare di America, Trump o di attaccare giornaliste sgradite come Taylor Lorenz, l’armonia regnava sovrana. I problemi sono sorti con la Cina.

La scorsa settimana, in Chatham House, c’è stato un scontro tra Joe Lonsdale (cofondatore di Palantir, azienda tecnologica che si occupa di sicurezza e settore militare e che ha molti legami con queste chat) e Balaji Srinivasan, molto attivo su X. Il primo accusava il secondo di avere opinioni troppo morbide sul governo di Pechino, fino a sospettare che fosse stato condizionato dalla propaganda cinese (Srinivasan vive a Singapore e sarebbe più esposto). Leggendo alcuni stralci da queste chat e le dichiarazioni dei suoi membri è facile rilevare una certa dose di paranoia generale, riconducibile al clima di tensione del 2020-2021, quando da un lato alcuni social network cercarono di ridurre la diffusione di fake news (attaccando la libertà d’espressione, secondo loro), dall’altro nacquero servizi come Clubhouse, in cui ci si radunava in “stanze” digitali, pubbliche o private, per parlare con amici o sconosciuti. Prima che Clubhouse diventasse una hit pandemica, fu per qualche mese disponibile solo su invito e si diffuse proprio tra i grandi nella Silicon Valley, che passarono i lockdown a ossessionarsi con temi come la libertà d’espressione e l’esigenza di un governo forte per vincere la sfida contro la Cina. Dopo qualche mese, i lockdown cessarono e la gente tornò a uscire, desertificando Clubhouse, che perse ogni senso di esistere. La conversazione dell’élite tecnologica però non finì lì: si spostò solo su Signal. E non è più finita.

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