Immigrazione, tagli da parte del Doge Musk, dazi e Ucraina sono stati i grandi temi di questi primi cento giorni: “il presidente sta tentando di centralizzare il suo potere sull’economia con una modalità senza precedenti”. Colloquio con il Fondatore e direttore del sito Semafor
“La più grande sorpresa di questi primi cento giorni è l’incredibile velocità e l’ampiezza dell’attacco di Donald J. Trump alle istituzioni”, dice Ben Smith al Foglio. Fondatore e direttore del sito Semafor, dove conduce anche il podcast Mixed Signals, Smith ci racconta la prima fase del Trump 2.0. Da quando ha giurato sulla Costituzione dentro al Campidoglio, il presidente “sta cercando di rimodellare non solo il governo federale – e in realtà sta trovando la cosa piuttosto difficile – ma anche il rapporto del governo con i settori indipendenti, in particolare il settore legale, quello dell’istruzione e i tribunali. E poi sta tentando di centralizzare il suo potere sull’economia con una modalità senza precedenti”, dice Smith. Un momento chiave di questi primi cento giorni? “Credo che il liberation day”, il giorno della liberazione in cui Trump ha annunciato dazi verso quasi tutti i paesi del mondo, “sia stato di gran lunga il momento più importante. Ha rivelato la centralizzazione assoluta dell’Amministrazione intorno a Trump stesso e getterà le basi per il resto del mandato”. Oltre ad aver già fatto impazzire i mercati.
Smith ci racconta che il ministro che più l’ha sorpreso è Scott Bessent, responsabile del dipartimento del Tesoro: “E’ emerso come figura centrale della politica economica. Assomiglia di più a un membro della prima Amministrazione Trump: è rispettato all’esterno mentre all’interno lotta per idee relativamente tradizionali e market friendly. Non mi hanno sorpreso le altre nomine, ma sono rimasto moderatamente stupito che Robert F. Kennedy Jr sia stato confermato”. Il nipote di JFK, ex democratico che mette in dubbio l’efficacia dei vaccini, ha portato l’anti scientismo al dipartimento della Salute. Ma c’è un’altra figura che è stata protagonista, accanto a Trump, in questi primi cento giorni: il megamiliardario Elon Musk, che ha contribuito notevolmente alle campagne elettorali repubblicane. Ci si chiede se il suo ruolo, come alcuni annunciano, sarà in futuro più limitato. “Il Doge”, pesudo dipartimento di efficienza governativa, “non è riuscito a tagliare la spesa in modo significativo, Tesla è in difficoltà, e Musk ha fatto intendere che ridurrà la sua presenza”, spiega Smith. “Tuttavia, rimane straordinariamente potente e molto vicino a Trump, e il suo denaro, il suo controllo su X, e il ruolo vitale delle sue aziende nelle policy di difesa e nelle policy spaziali faranno in modo che resti una figura molto influente”.
Dall’altra parte ci sono i grandi sconfitti, i democratici. Kamala Harris è sparita, Joe Biden anche. Molti vedono il partito come incapace di fare una vera opposizione. “I leader più anziani, come Chuck Schumer”, leader dei democratici al Senato, “stanno consigliando al partito di mantenere la calma e lasciare che Trump si faccia lo sgambetto da solo – e in effetti sembra che questa strategia stia funzionando. Ma non è quello che vogliono gli elettori democratici. Gli elettori desiderano dei leader che combattano, e infatti si stanno avvicinando a figure come Cory Booker, che invece trovano modi per manifestare”. Booker, leader democratico dei deputati, di recente ha tenuto un discorso per più di 24 ore alla Camera protestando contro le politiche trumpiani.
Smith è tra i massimi esperti del mondo dei media americano e dice che il presidente è riuscito inizialmente a controllare la sua immagine. “Trump e Musk hanno completamente dominato il racconto mediatico per i primi due mesi di presidenza, credendo di poter plasmare la realtà”. Poi però, “il Signalgate”, quando il direttore dell’Atlantic è stato inserito in una chat sulla sicurezza nazionale, “e il liberation day hanno cambiato la situazione. Ora i media si concentrano principalmente sulle notizie economiche. C’è una copertura mediatica forte dello scontro in corso tra Trump e i tribunali. Credo poi che il vero successo che ha avuto Trump con il controllo del confine (col Messico) non sia stato coperto a sufficienza”. C’è poi chi accusa alcuni quotidiani di “normalizzare” Trump, ma “sono stati gli americani a normalizzare il presidente, eleggendolo”, ci dice Smith.
Immigrazione, tagli da parte del Doge, dazi e Ucraina sono stati i grandi temi di questi primi cento giorni. E i prossimi cento? “Penso che la capacità, o meno, di Trump di risolvere la crisi economica che ha creato – dice Smith – sommergerà persino le altre notizie e le storie gigantesche che verranno fuori, come il suo tentativo di centralizzare il potere e i negoziati di pace che porterà avanti”.