I favoriti bergogliani, categoria così numerosa da non esistere

Sembra una partita dalla quale sono esclusi i cosiddetti “conservatori”, che numericamente sono di gran lunga meno influenti rispetto alla controparte. Ma non è detto che in caso di più votazioni non possano tornare in ballo con proposte di mediazione

Roma. Il Conclave si aprirà il 7 maggio. Al mattino, la messa Pro Eligendo Pontifice, al pomeriggio l’ingresso in Sistina. Del calderone di dichiarazioni cardinalizie strappate in questi giorni mentre i porporati corrono verso le congregazioni generali, a funerali o ai novendiali (pochi per la verità), la parola che si sente più spesso pronunciare è “unità”. Lo si dice a ogni morte di Papa, quando gli auspici dei porporati – almeno quelli confessati a giornalisti e operatori media – tendono a rimarcare il clima santo di queste riunioni che porteranno al Conclave. Ci sono differenze, si dice, ma insomma… si troverà un punto di caduta. Da ieri, con Francesco sepolto in Santa Maria Maggiore, è iniziata questa ricerca, che appare tutt’altro che semplice. Il Collegio cardinalizio ha visto parecchi nuovi ingressi in questi dodici anni e mai nella storia gli elettori erano stati così tanti. Di più: tra di loro ce ne sono molti che a Roma si sono recati giusto per ricevere la berretta rossa e un’altra manciata di volte. Sono lontani dal centro del potere, poco informati sulle dinamiche quotidiane della curia, ignari su chi siano i confratelli che saranno chiamati a condividere la fatale scelta. L’altro giorno, in un breve video che dava conto delle congregazioni, si vedeva un cardinale domandare al vicino di posto: “Lei è al primo Conclave?”. Giusto per dare l’idea. Calata un po’ l’emozione per il Pontefice defunto, passata al setaccio la consueta abnorme dose di melassa sulle virtù e le opere del Papa non più tra noi (anche questa non è certo una novità), tornati a casa gli adolescenti che ai giornali dicono di “volere un altro Bergoglio” – come i loro genitori dicevano di volere un altro Wojtyla vent’anni fa – il quadro che si presenta sul tavolo dei cardinali non è dei più semplici.

Che la Chiesa sia divisa è un dato di fatto: lo è sempre stata e per rendersene conto è sufficiente ripassare un po’ gli Atti degli apostoli. E’ divisa da sempre e cambiano solo i fronti in conflitto, per secoli fra zelanti e moderati. Quindi i cardinali delle corone, francesi contro austriaci, gli spagnoli. Gli italiani a fare da moderatori, divisi magari fra politici e spirituali. Dopo il Concilio la divisione è fra progressisti e conservatori, che nel corso del tempo è divenuta lotta fra liberali e indietristi. Categorie che lasciano il tempo che trovano, soprattutto nella lista dei progressisti, i cosiddetti “bergogliani”, categoria talmente fumosa da non riuscire neppure a intravederne i lineamenti. Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha messo in chiaro che il suo programma era finalizzato a mettere in acqua la Barca, lasciandola andare al largo senza mete prefissate. Fiducia totale nella misericordia divina, che l’avrebbe aiutata anche quando si sarebbe imbattuta nelle tempeste. E così, via con le riforme e le mezze rivoluzioni, i passi avanti epocali e il repentino ordine di fermarsi. Sì al Sinodo sulla sinodalità con donne, laici, ex no global convertiti: discutere, parresia, confrontarsi liberamente. Salvo poi togliere dall’ordine del giorno tutti i punti critici e più divisivi, relegandoli a specifiche commissioni incaricate di approfondire, studiare, mediare (e, di solito, confinare in archivi tali dossier). Conferire poteri dottrinali alle conferenze episcopali nazionali, scrisse nella Magna Charta del pontificato, la Evangelii gaudium, il documento più importante e probabilmente meno letto del pontificato. E ci fu chi lo prese in parola, come i tedeschi che inaugurarono il loro Synodale Weg che si riprometteva di cambiare tutto, ribaltando la piramide gerarchica della Chiesa, assicurarsi ancora gli introiti della Kirchensteuer, la tassa ecclesiastica per i battezzati, con un’opera di maquillage che prevedeva potere ai laici, donne celebranti e celibato facoltativo. (Matzuzzi segue a pagina quattro)


Quando il Papa lesse il programma dell’iniziativa partorita sulle rive del Reno, richiamò all’ordine i tedeschi, mandò avanti i big della curia a tirar loro le orecchie e – in un’intervista – definì “poco cattolico” quanto avveniva a Francoforte. Insomma, la Barca deve proseguire così il suo viaggio o è meglio dotarla almeno di una bussola? Non sono pochi i cardinali che la pensano così, anche fra i più convinti e sinceri sostenitori dell’opera di Bergoglio. Vorrebbero, insomma, un Papa che portasse avanti l’agenda del 2013 ma con più rigore e senso istituzionale. Con più prudenza. Vanno bene le aperture, ma ci vuole chiarezza: non si può – sussurrava un porporato non certo ascrivibile all’opposizione nostalgica del passato – autorizzare la Dottrina della fede a esprimere il non placet alla benedizione delle coppie gay e, una settimana dopo, chiedere scusa al termine dell’Angelus. Padre Antonio Spadaro, autore peraltro della più importante intervista del pontificato a Francesco, quella passata alla storia per la Chiesa come ospedale da campo, disse una volta che due più due può fare anche cinque.

Altri, non cultori della matematica, sottolineavano che tra il nero e il bianco c’è anche il grigio, la sfumatura che fa uscire dalla “rigidità” monocromatica. I cardinali vorranno ancora colorare la Chiesa di grigio? Saranno ancora convinti che due più due può fare anche cinque? Da anni, e specialmente dopo l’ultimo concistoro, si parla dei “bergogliani” che avrebbero conquistato la maggioranza assoluta del Collegio cardinalizio. Bergogliani perché creature (cioè creati) di Francesco e quindi, nella vulgata comune, accomunati da un idem sentire con il Papa ora defunto. Sono tantissimi, più di cento sui centotrentaquattro-centotrentacinque che voteranno, l’ottanta per cento. Se fosse così semplice tirare le somme, il Papa sarebbe eletto al primo scrutinio. Il problema è che nel gruppo dei cosiddetti “bergogliani” c’è di tutto: sono stati creati sì da Francesco, ma ciascuno ha proprie priorità ed esigenze, frutto dell’esperienza pastorale maturata in contesti geografici e sociali i più diversi tra loro. Prendiamo qualche punto del pontificato di Francesco e chiediamoci se una volta entrato in Sistina, il “bergogliano” voterà cercando qualcuno che abbia a cuore le periferie esistenziali. Magari, invece, avrà come priorità l’istituzione dei viri probati. Oppure, la sua scelta sarà influenzata dalla volontà di accelerare sul dialogo interreligioso. E se invece avesse più a cuore la pietà popolare? Bergogliano nel senso di todos, todos, todos e di “chi sono io per giudicare un gay?” o bergogliano nel senso che il gender “è uno sbaglio della mente umana”? Bergogliano che annovera Emma Bonino tra i grandi d’Italia o bergogliano che ritiene gli abortisti dei “sicari”? La questione è complessa e dunque imprevedibile.

Sulla bocca di tutti, quando si parla di mediatori, c’è il cardinale Pietro Parolin, il mite segretario di stato che ha servito Francesco dal 2013 a oggi. Tessitore e dedito a smussare le tante impulsività del Papa, che non di rado ha scavalcato la Segreteria di stato con missioni personali o delegate a propri fiduciari. Veneto austero, diplomatico di carriera – era nunzio a Caracas quando fu richiamato a Roma per sostituire Bertone – viene considerato come la tranquilla prosecuzione dell’èra bergogliana, ma con più chiarezza e meno colpi di testa. Certo, anche nel campo progressista non tutti sono entusiasti e più che le dichiarazioni a microfoni e taccuini è utile leggere ciò che sta dietro, fra le righe. Come quando il cardinale Reinhard Marx ha detto che serve qualcuno di “comunicativo”. Non proprio l’identikit del già segretario di stato. Parolin entra da favorito presiedendo il Conclave, visto che il decano Re non entrerà in Sistina, avendo superato da un pezzo gli ottant’anni. I dubbiosi osservano che manca di esperienza pastorale (la sua vita è stata in curia o in sedi diplomatiche) in una diocesi e che quasi mai nella storia è diventato Papa il segretario di stato uscente: l’ultimo è stato Eugenio Pacelli, ma insomma… altra storia e altro contesto storico. E se a dominare le consultazioni fosse la questione della sinodalità, tema dominante dell’ultimo scorcio di pontificato? Il cardinale maltese Mario Grech, età da papabile (68 anni), europeo ma “periferico”, curiale ma già vescovo diocesano, rientra nelle ipotesi che si fanno.

Sono tutti, però, discorsi che restano in superficie e che non tengono conto delle dinamiche interne, di quel che passa nella testa di cardinali che tra loro non si conoscono, di cui non si sa nulla, né le idee né come intendano la Chiesa di domani. Anche il campo “progressista”, quello appunto dei cosiddetti “bergogliani”, è tutt’altro che unito. Questione di sensibilità diverse, di priorità non sempre sovrapponibili a quelle dei confratelli votanti. Le congregazioni generali di questa settimana serviranno a schiarire le idee, anche se il cardinale Anders Arborelius, uno di quei nomi che potrebbero saltare fuori in caso di stallo, prevede un “Conclave lungo perché non ci conosciamo”. Sembra, in ogni caso, una partita dalla quale sono esclusi i cosiddetti “conservatori”, che numericamente sono di gran lunga meno influenti rispetto alla controparte. Ma non è detto che in caso di più votazioni non possano tornare in ballo con proposte di mediazione. E’ ancora presto, anche per valutare le conseguenze del “dramma Becciu” vissuto in questi giorni. Come avranno reagito i cardinali presi alla fine del mondo alla vicenda del porporato sardo di fatto invitato dai curiali a restare fuori dalla Sistina?

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

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