Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Complimenti a Giuliano Ferrara per l’articolo su Trump. Intanto l’Italia a Bruxelles vota contro la difesa comune. Paesaccio.
Pasquale Pasquino
Semplicemente formidabile.
Al direttore – L’antenato più diretto del bridge è il whist, assai diffuso nella seconda metà del Seicento tra gli strati più bassi della popolazione inglese. Era perciò considerato come un passatempo da cacciatori o scudieri di campagna, non degno di gentiluomini e nobildonne. Fa il suo ingresso nei club e nelle case dell’alta borghesia britannica solo un secolo dopo, grazie alle regole codificate da Edmond Hoyle nel suo “Short Treatise on the Game of Whist” (1742). Ventiquattro regole auree che, dando una solida base di certezze al conservatorismo dei sudditi di Sua Maestà, permisero al gioco di passare dall’alterco fumoso dell’osteria di campagna all’ovattata compostezza del circolo cittadino. Dalla natia Gran Bretagna il whist non fatica a sbarcare nel continente, invade la Francia sotto il regno di Luigi XV e ne conquista la favorita, Madame du Barry. Si giocava ovunque: nelle bettole come nella dimora di Madame de Staël e nelle sale del prestigioso hôtel Thélusson; e si continuò a giocare anche durante la Rivoluzione. Giocavano il principe di Talleyrand e le mogli di Napoleone, Giuseppina e Maria Luisa. Sull’altra sponda dell’Atlantico, Benjamin Franklin – dopo averlo appreso nel suo soggiorno londinese – divulga il whist a Filadelfia, da dove si diffonde in America ancor prima della guerra d’indipendenza. Veniva giocato nel New England come negli stati sudisti, tra i piantatori di cotone come a bordo dei battelli che solcavano il Mississippi. E si barava molto, anche perché allora barare era apprezzato come prova di invidiabile destrezza. Forse non tutti sanno, però, che il baro più ammirato dell’epoca aveva lo stesso nome e cognome dell’attuale presidente degli Stati Uniti.
Michele Magno
Un giorno qualcuno spiegherà come sia stato possibile vedere delle destre in giro per il mondo innamorate di una destra modello Trump, che è l’opposto di tutto quello che le destre dovrebbero difendere: libertà, mercato, diritti umani, globalizzazione, lotta contro gli autoritarismi. Trattasi di impostura, semplicemente, e prima o poi qualcuno la mostrerà con forza e denuncerà con coraggio quanto Trump sia un pericolo non solo per il suo paese, ma anche per tutte le destre del mondo. E in fondo, pensateci: se la destra smette di difendere la libertà e inizia a difendere solo la libertà di essere estremisti, c’è o non c’è un problema per il mondo libero? Urge un 25 aprile per liberare le destre mondiali da un cappio mortale di nome Trump.
Al direttore – Un anno fa la piazza del Duomo era occupata dalle bandiere palestinesi e, oltre ai soliti fischi e insulti lungo il corteo, alcuni pro Pal avevano aggredito con bastoni e coltelli gli esponenti della Sinistra per Israele. La libertà di parola nel nostro paese può sembrare scontata, ma grazie ai violenti e a chi decide di non piegare la testa ci accorgiamo quanto sia importante e quale sia il prezzo da pagare. Ecco che il 25 aprile diventa vivo. Dopo le violenze dello scorso anno, quest’anno la presenza ebraica era comprensibilmente in dubbio, ma in un moto spontaneo in tanti non si sono fatti intimorire. Chi ieri ha rappresentato in prima persona i valori della libertà sono stati proprio i mille – mai così numerosi – che a Milano hanno sfilato con la Brigata ebraica, le diverse anime della comunità ebraica milanese e quanti hanno dovuto proteggerli, i City Angels e i numerosissimi agenti che la Questura ha dovuto mettere in campo.
Yasha Reibman