Le polemiche, l’informazione, le norme, gli edifici storici
Roma. Difficile mettere mano alla materia urbanistica senza sentirsi piovere addosso campagne denigratorie sul cosiddetto strapotere del cemento. Il “dàgli alla casta” del mattone, anche quando si parla di razionalizzazione dell’esistente, non è nuovo tra le mura della capitale – anzi pare quasi un riflesso condizionato pronto a spuntare ogni volta che si decide di riformare qualcosa. Ed è infatti successo puntualmente, a ridosso dell’approvazione delle nuove norme tecniche di attuazione di una parte del piano regolatore generale. L’obiettivo era riallinearsi ai provvedimenti nazionali e regionali, affrontare alcuni nodi emersi dopo l’approvazione del Piano regolatore del 2008 e procedere a una revisione e modernizzazione dei meccanismi attuativi, puntando alla rigenerazione urbana (con trasformazione delle aree già urbanizzate, riqualificazione e riutilizzo del patrimonio esistente), al blocco del consumo agricolo, al ritorno della residenzialità in centro, allo sviluppo dell’housing sociale, all’attuazione dei programmi per le periferie già presenti nel Piano regolatore ma fermi da venti anni, e alla semplificazione delle procedure. Apriti cielo: da più parti (in particolare in area Cinque stelle e nella sinistra a sinistra del Pd) si sono levate voci d’allarme sulla presunta presenza della mano privata nascosta dietro a quella pubblica. Come se a Roma, in nome del patrimonio storico e archeologico, ma anche a sproposito, si dovesse sempre assistere a una lotta macchiettistica tra fautori dello status quo, privi di sguardo sulla realtà, e fautori del via libera alla deregulation, con il risultato di procedere solo tramite “norme di deroga” (per esempio la Legge sulla rigenerazione e il Piano Casa), al di fuori dell’amministrazione capitolina. C’è oggi chi teme, per esempio, che, con la riforma, sarà possibile demolire cinema storici ed edifici del Novecento, per sostituirli con centri commerciali. Ma le nuove norme non intervengono sui confini della città storica: qualsiasi intervento su immobili vincolati è inammissibile se non c’è il consenso della Soprintendenza di Stato. Quanto alle ventilate “premialità” ai costruttori, in realtà, spiegano in zona Giunta, non sono state introdotte premialità aggiuntive rispetto al 2008, ma è stato dato confine più netto al campo di applicazione di quelle presenti. La confusione mediatica, insomma, inquina il processo. Motivo per cui, nel centrosinistra capitolino, si sta cercando di rispondere con l’informazione dettagliata al fuoco amico pregiudiziale.