Francesco, l’ultimo atto

L’omelia “biografica” del cardinale Re, che ricorda gli atti principali del pontificato e il ruolo geopolitico di Francesco. Le decine di lingue parlate in piazza, tra pellegrini venuti per varcare la Porta Santa e giovani che speravano nella canonizzazione di Carlo Acutis

Roma. Sotto un sole tardo primaverile, almeno 250 mila persone si sono ritrovate sul sagrato di piazza San Pietro e nelle strade adiacenti per dare l’ultimo addio a Papa Francesco. C’era davvero il mondo racchiuso in quella piazza. Fin dalle prime ore del mattino, quando l’alba iniziava a mostrarsi, si potevano sentire parlare gli idiomi più disparati, dal francese dei gruppi di anziani giunti a Roma per il pellegrinaggio giubilare allo spagnolo dei messicani, devoti e orgogliosamente pronti a sventolare la propria bandiera nazionale. E poi tanti giovani, tantissimi: erano arrivati nella capitale per festeggiare la canonizzazione del “loro” Carlo Acutis, e sulle magliette che indossano si vede il volto del beato e la data della proclamazione alla santità, il 27 aprile. Invece, si sono ritrovati in piazza a pregare per il Papa morto. E’ stata una messa di popolo, universale e quindi cattolica. C’erano sì le periferie, care a Francesco e a una certa retorica che ha trasformato un concetto quasi teologico in slogan da appiccicare qua e là quando serve o quando non si sa cosa dire, ma c’era anche il cuore della vecchia Chiesa occidentale, quella devota a Lourdes e Fatima. Accanto all’altare, da una parte i cardinali e i vescovi, dall’altra i potenti del mondo, quelli che spesso hanno ignorato – come sempre accade in tutte le epoche – i moniti papali e che poi si sono ritrovati a piangere, commossi, il Pontefice. Qualcuno la definirebbe ipocrisia, altri più prosaicamente ragion di stato.

Il cardinale decano, Giovanni Battista Re, in un’omelia più biografica che spirituale (non è una colpa, trattasi di scelte e di stili), ha condensato la vita e le opere di Francesco, partendo dalle sue intuizioni, dal suo retaggio argentino e nella Compagnia di Gesù e sottolineando alcuni punti programmatici dai quali – era il senso implicito di quanto detto da Re – non si potrà tornare indietro. Non è un caso che si sia levato un applauso quando è stato ricordato che la Chiesa è un ospedale da campo aperto a tutti. Quindi, l’impegno politico internazionale, per gli ultimi e le periferie più periferie della Terra, compreso il ricordo della “celebrazione di una Messa al confine tra il Messico e gli Stati Uniti”. E poi il viaggio in Iraq del 2021, indubbiamente il più significativo, tra i tanti compiuti, “sfidando ogni rischio”. “Quella difficile visita apostolica – ha detto il decano – è stata un balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis”. La piazza gremita di popoli è la testimonianza più vera del fatto che Francesco è stato prima di tutto un evangelizzatore: “Il primato dell’evangelizzazione è stato la guida del suo Pontificato, diffondendo, con una chiara impronta missionaria, la gioia del Vangelo, che è stata il titolo della sua prima Esortazione Apostolica Evangelii gaudium. Una gioia che colma di fiducia e speranza il cuore di tutti coloro che si affidano a Dio”.

E’ stata una celebrazione affollata ma composta, quasi “normale”: pochi gli striscioni e poche le bandiere. Poca anche l’emozione, come se i fedeli avessero già metabolizzato lo shock della morte di Francesco. Nulla a che vedere con quanto visto in quella stessa piazza vent’anni fa, con i milioni di cattolici che intonavano cori al “Santo Subito” Giovanni Paolo II, per la gran parte dei presenti il primo e fin lì unico Papa della propria esistenza. Un segno di fede più matura? Chissà, lo dirà il tempo. Finita la messa, il feretro è partito alla volta di Santa Maria Maggiore, per la tumulazione nella basilica così cara a Jorge Mario Bergoglio: ironia della sorte, il suo ultimo viaggio è stato assai poco sobrio, su un’auto scoperta (e un po’ kitsch) che percorreva sei chilometri di strade romane tra ali di folla. Ricordava, mutati i tempi, il viaggio che la salma di Pio XII fece da Castel Gandolfo a Roma. Guai a fare paragoni, però: la narrazione dominante di questi giorni ne verrebbe intaccata.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

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