E’ tornata Rosa Matteucci, con un romanzo d’avventura e di bellezza

Cartagloria è un’opera autobiografica, in cui s’intreccia l’infanzia e la formazione della protagonista con il rapporto con il sacro e l’improvvisa morte del padre. In una narrazione in cui la tragedia e il dolore non possono che convivere con la comicità

La cartagloria è un oggetto liturgico, un quadretto, che contiene formule latine da recitare a tono di voce impercettibile. Un sussurro che tuttavia vive di una tensione mistica agitata che precede l’esaltazione, ma che rischia non di rado di causare – contro ogni previsione – sonnolenza e un conseguente imbarazzo frutto di un andamento fluttuante capace di abbonire spesso il fedele fino all’accesso. Un mormorio dunque tesissimo a cui bisogna prestare estrema attenzione. Un ascolto e una lettura in perenne bilico tra la tragedia indotta e la comicità imminente. Ed è questo andamento sinuoso, ma al tempo stesso imprevedibile che meglio descrive la straordinaria scrittura di Rosa Matteucci che torna al romanzo con l’affilato, e preciso fino al taglio, Cartagloria (Adelphi). Un romanzo autobiografico, in cui s’intreccia l’infanzia e la formazione della protagonista con il rapporto con il sacro e l’improvvisa morte del padre. Tuttavia questi non sono altro che i banali e freddi riferimenti catalogatori di una narrazione che invece deborda potentemente grazie alla sua lingua, scivolando felicemente ben oltre i ristretti confini di una cronaca esistenziale.

Matteucci non si limita a narrare i fatti, ma anzi capovolge i termini del comune discorso narrativo dando ai fatti stessi una misura fin da subito romanzesca e letteraria. Un movimento che ha nella letteratura contemporanea dell’incredibile come dell’inaspettato. Cartagloria è prima di tutto un romanzo d’avventura. Il racconto di una bambina e poi di una donna, e del trauma della scomparsa di un padre, eroe in un movimento che diviene immortale. Una narrazione in cui la tragedia e il dolore non possono che convivere con la comicità e un riso che esplode spontaneamente in maniera tanto improvvisa quanto liberatoria.

L’infanzia e la religione in parte mancata, ma così fortemente presente con suoi riti e con le sue pratiche diviene così una lente assilante e quotidiana per la protagonista. Un modo di vedere il mondo, e di deriderlo: “Una volta fuori, continuai a tossire convulsamente, con gli occhi pieni di lacrime, finché, mezza soffocata da Gesù, fui costretta a sputare la particola benedetta fra i rami di uno dei due cespugli di Thuja occidentalische da pochi mesi ornavano il portale della chiesa dedicata alla Madonna della Cintura. Mentre correvo verso casa, dalla chiesa mosse la solenne processione“.

La qualità di Rosa Matteucci è volare oltre la retorica e la banalizzazione di tutto quello che è ritualità e messa in scena (e in spirito). Il suo intento è quello di scovare attraverso il rito stesso, ma utilizzato come strumento, quella forma di tenerissima ingenuità che contraddistingue l’umano. L’incanto per il mondo e la sua derisione sono frutto di un percorso dentro al quale prendere gradualmente consapevolezza. Non si tratta di un passaggio sarcastico condito di cinismo, ma di un modo per accogliere il dramma e posizionarlo in quell’inevitabile limite che è l’esistenza. Il segno anche dell’impossibilità di non potere capire realmente ogni cosa: un limite, ma anche una serena liberazione. Quella di Cartagloria è una visione dell’umanità e un uso della lingua che sta tra Flaiano e Landolfi, tra Arbasino e Fellini, ma sempre con uno scarto imprevisto che rivela una leggerezza e un’originalità assolutamente personale. Cartagloria segna un passaggio importante nella letteratura di Rosa Matteucci, un nuovo attracco dentro al quale ridefinire non solo essenziali passaggi della propria vita, che divengono ritratti di un mondo assurdo e sempre più privo di senso, ma anche la definizione di un’idea di letteratura fortemente autoriale. Un romanzo che offre ai lettori uno spazio così denso, pieno e godibile da meritare una lettura priva di distrazione.

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