Il mondo è fatto di cose e immagini, lì pronte per essere usate. “I bravi artisti copiano, rubano” diceva Picasso. Il problema è che alcuni pretendono di avere il copyright sulla refurtiva. Ma nell’epoca della totale condivisione come si fa a pretenderlo?
Possiamo immaginare Pontormo che dipinse la sua Deposizione nel 1528 fare causa a Bronzino perché gli rubò l’idea dipingendone un’altra nel 1548? Oppure il fruttivendolo che va da Cezanne e gli dice “ti ho venduto le mele per mangiarle mica per fare un un quadro e poi venderlo”? No, non possiamo immaginarlo. Il mondo è fatto di cose e immagini, lì pronte per essere usate. Un conto è il brevetto di una app abbastanza complicata da immaginare e complicatissima da progettare, un conto è prendere una banana e appiccicarla su un muro o su una tela o su una copertina di un disco. Chi ha inventato la banana è sicuramente un genio, ma non si sa chi sia e quindi è difficile che possa farci causa se la usiamo per farci un opera d’arte. L’artista americano Richard Serra, che aveva creato delle gigantesche spirali di ferro, andò a Washington all’ufficio brevetti per brevettarne la forma. Il funzionario dell’ufficio dopo aver analizzato bene la forma della spirale disse: “Mister Serra, la sua opera è un capolavoro, ma la forma può essere ricreata involontariamente da qualsiasi idraulico che taglia un tubo di ferro. Se gliela brevetto dopo lei deve fare causa a tutti gli idraulici”.
So che è banale ripeterlo ma serve sempre ricordare cosa diceva Picasso: “I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”. Oggi molti artisti rubano, il problema è che alcuni pretendono di avere il copyright sulla refurtiva. Se avete voglia e tempo andate nella Chiesa sconsacrata di Sant’Andrea de Scaphi, dove dietro a un misero tavolino di formica da ufficio c’è un video dove uno dei più grandi artisti contemporanei viventi, Richard Prince, risponde per quasi sette ore all’interrogatorio di un avvocato che lo accusa di avere usato in alcune opere d’arte immagini di altri artisti. Richard Prince fa parte di quella generazione di pittori che dalla metà degli anni 80 inventò, o forse riportò in vita, l’idea dell’appropriazione, che se si tratta di una cosa che appartiene a un altro è indebita, ma se è un’immagine fatta per essere vista dal più grande numero di persone è legittima. Fra le opere più famose di Prince ci sono le immagini dei cowboy delle pubblicità della Marlboro che lui rifotografava, ingrandiva e incorniciava togliendo il logo della marca di sigarette. La sua idea più o meno, ma può darsi che me lo sia sognato, era che la Marlboro si appropriava del mito del cowboy per vendere fumo, lui si riappropriava di quel mito e lo trasformava in arte. Il video lunghissimo ma interessantissimo si intitola “Deposition” ed essendo nella Chiesa è anche proprio una deposizione.
L’artista, dopo essere crocifisso dal Torquemada legale, vien portato giù dalla croce morto sfinito dalle illazioni spesso aggressive e ignoranti di un avvocato che di arte e del fare arte non sa nulla. Richard Prince spiega che fra una persona normale e un artista la differenza è su come viene visto e usato il mondo. Per un comune mortale un bicchiere di carta buttato per terra è spazzatura, per un artista il possibile soggetto di un quadro, di una foto e per i più aggressivi di una installazione o una scultura. L’avvocato questo non lo vuole proprio capire, per lui Prince è un semplice ladro d’immagini. Ma oggi questa è un’ipocrisia o un paradosso. Nell’epoca della totale, totalitaria condivisione delle immagini come si fa a pretendere che le nostre immagini, spesso banalissime, rimangano nostre. Allora tutto si riduce forse proprio all’arte e di nuovo a quello che diceva Picasso. Io posso copiare le immagini, già copiate o rubate da Prince, ma per farle diventare qualcosa di altro e di meglio non posso essere una persona normale, devo essere quantomeno un artista, anzi un grande artista, che non esclude che possa essere un’orribile persona, ma questo è tutto un altro discorso. Nelle sue risposte all’avvocato, Richard Prince scoperchia il vaso di Pandora del futuro della realtà e della sua rappresentazione. La vera sfida non è tra noi e l’AI, ma quella tra l’AI e l’arte. Il mondo e le immagini non hanno più proprietari ma i contenuti sì. Davanti alla Sacra Rota del diritto d’autore, che alla fine lo condannerà a risarcire qualche danno, Richard Prince dice: “Eppur lo uso”.