Le messe funebri sono per chi resta e quella di Francesco non fa eccezione. La piazza è ignara di cosa si muove dentro la Basilica mentre Trump e Zelensky si incontrano. La corsa per far parlare i due presidenti, gli incontri dell’ucraino e la foto che rimarrà per sempre nel giorno in cui la morte del Pontefice ha fatto di Roma il centro del mondo
E’ una consuetudine non detta, ma introiettata: ai funerali non si va per i morti, ai funerali si va per chi c’è, chi resta, per i vivi. La piazza lo sa, anche i fedeli ne sono consapevoli: l’occasione dell’incontro l’ha creata la morte, la presenza è un segnale alla vita. Ognuno è legato al suo ricordo di Papa Francesco: ci sono i ragazzi con gli striscioni per ringraziare il Pontefice defunto, ci sono le bandiere, quelle polacche impongono una predominanza di bianco e rosso che fa dimenticare l’origine argentina di Bergoglio, ci sono le suore che si sono svegliate alle due e mezza, sono partite da Bagnoregio e aiutano gli avventori a trovare posto a sedere in cambio di cinque Ave Maria. La piazza sussurra, fa foto, prega, ride e guarda il sagrato: la storia è lì, perché come a ogni funerale, chi è venuto, è qui per i vivi, e la regola non detta vale soprattutto per i leader internazionali: il vivo è Donald Trump, arrivato di fretta, atteso da tutti, pronto a ripartire di corsa per festeggiare i cinquantacinque anni di sua moglie Melania.
Nel mezzo della bufera internazionale causata dall’Amministrazione americana è capitato il funerale di Papa Francesco e improvvisamente, nel giro di un giorno, tutti vogliono il loro minuto di attenzione dall’uomo potente, dispettoso che ha dichiarato la guerra dei dazi e la pacificazione con i regimi. Trump rimane a Roma per poco tempo, troppo poco per dedicare un minuto per ogni leader, così sono i leader che hanno scelto una priorità. Oggi il funerale del papa ha trasformato Roma nel centro del mondo, al centro del mondo va portato un problema alla volta, il più grande, il più urgente: la guerra in Ucraina. L’altro vivo per cui molti leader sono qui è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, arrivato di corsa anche lui: prima di partire per Roma è voluto andare a visitare il distretto Svyatoshynsky di Kyiv, dove un missile russo su un’area residenziale ha ucciso dodici persone. Si è riempito gli occhi dell’orrore dell’ultimo attacco sui civili ucraini nella capitale, si è messo in tasca un piano di pace da proporre a Trump, la via ucraina per la fine del conflitto, ed è partito con un’agenda densa, senza sapere fino all’ultimo se sarebbe riuscito ad avere il suo incontro.
L’arrivo del presidente americano è annunciato da un elicottero in cielo, si ferma sopra San Pietro coprendo le voci che recitano il rosario. La piazza guarda in alto, le labbra continuano a muoversi, la litania di fondo rimane, ma l’attenzione è altrove, fissa verso l’intruso. Il governo italiano è schierato sul sagrato, ma i vivi che tutti cercano sono dentro, insieme al feretro di Papa Francesco, muto testimone di un incontro storico: una contrattazione politica dentro alla più celebre delle basiliche papali. La piazza non lo sa, ma dentro a San Pietro Trump e Zelensky si stanno incontrando, il presidente ucraino è stato scortato dal capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron, e dal premier britannico, Keir Starmer. Il capo della Casa Bianca e il presidente ucraino vengono portati verso due sedie di velluto rosso, rimangono a parlare per pochi minuti, vicinissimi: Trump è in completo blu, sembra incombere su Zelensky con tutta la sua figura. Zelensky è vestito di nero, appare minuscolo, con il volto teso, ogni volta che siede vicino al presidente americano sembra farsi bambino. L’ultima volta che si sono visti erano a Washington, Zelensky venne cacciato dallo Studio ovale dopo una sessione concordata di insulti e agguati compiuti dal vicepresidente americano J. D. Vance – l’ultimo leader politico ad aver visto Francesco in vita – Trump e alcuni giornalisti addomesticati dalla causa trumpiana. Il presidente ucraino sa di non piacere al capo della Casa Bianca, non c’è modo che Trump guarisca dalla sua passione per Vladimir Putin, l’ultima cosa che Zelensky può fare è mostrare che Kyiv ha un piano, un’alternativa alla resa incondizionata che Washington, su pressione di Mosca, gli sta chiedendo. La piazza continua a pregare, si copre dal sole che inizia a ribollire sulle teste, aspetta il funerale, non sa che dentro San Pietro due uomini stanno parlando di un piano di pace e non ascoltano le sue preghiere: non sono per loro, le preghiere in un funerale sono l’unico rito dedicato davvero ai morti.
La piazza si accorge dei due vivi, fanno il loro ingresso sul sagrato uno alla volta, ma soltanto uno di loro ottiene un piccolo applauso: è Zelensky che guarda stupito lontano, forse quel battito di mani che onora lui e ignora Trump non l’ha nemmeno sentito, ma la piazza si convince che il presidente ucraino era sinceramente commosso da quel saluto inatteso.
Il piano che Zelensky ha in tasca è pronto per essere ribattezzato il patto di San Pietro. In parte è stato svelato dal New York Times: l’Ucraina chiede un cessate il fuoco prima di parlare di territori, chiede di mantenere il suo esercito senza limitazioni e una forza di interposizione dell’Unione europea nel territorio ucraino a garanzia che non si ripeta l’invasione di Mosca. Il piano è doloroso, ma scritto per suonare ragionevole alle orecchie degli americani. Per i russi è poco, non impone all’Ucraina il collasso militare e istituzionale a cui vuole arrivare Putin. Zelensky sa che il suo piano deve arrivare a Trump prima che venga sabotato da Mosca, sempre pronta a sussurrare, con successo, alle orecchie del presidente americano. I quindici minuti che Zelensky ha avuto per parlare con Trump non sono stati abbastanza per spiegare tutto il suo programma verso la pace, per smentire le bugie di Mosca: da Kyiv fanno sapere che si spera in un secondo incontro dopo il funerale, ma non ci sarà, Trump ha fretta, incontra soltanto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni prima di volare via.
E’ soltanto alla fine della messa celebrata dal Cardinale Giovanni Battista Re che tutta l’attenzione è per Papa Francesco: il suo feretro viene riportato dentro alla basilica, gli occhi della piazza sono incollati ai maxischermi per seguire il percorso che lo condurrà a Santa Maria Maggiore, dove sarà tumulato. I leader si dissolvono, il sagrato si svuota. Zelensky attende la fine del funerale e la conferma che Trump non gli concederà un secondo faccia a faccia per scrivere: “Ottimo incontro. Abbiamo discusso a lungo a tu per tu. Speriamo in risultati concreti che abbiamo trattato: proteggere la vita del nostro popolo, un cessate il fuoco completo e incondizionato, una pace affidabile e duratura che impedisca lo scoppio di un’altra guerra. Un incontro molto simbolico che ha il potenziale di diventare storico se raggiungeremo risultati congiunti”. E infine, Zelensky ha aggiunto: “Grazie, presidente Trump”.
Ormai la piazza ha smesso di seguire il feretro, non guarda più il sagrato svuotato, non c’è più nessun leader da guardare lassù, né i vivi né i morti. Si disperde, lenta. Qualcuno chiede una foto ai cardinali di passaggio: “Non si sa mai”, dice un ragazzo speranzoso di aver collezionato la foto con il prossimo Papa. Mentre San Pietro sta dimenticando tutto, Zelensky incontra prima Emmanuel Macron, poi Keir Starmer, poi viene ricevuto da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. “Vedere Trump e Zelensky parlare di pace al funerale del Papa della pace ha un significato enorme”, ha detto la presidente del Consiglio.
Tutti i funerali hanno i loro codici, quelli di un papa sono scolpiti nei secoli, ma delle esequie di Francesco resterà un’immagine. Non saranno le immense chiazze di rosso cardinalizio comuni a ogni rito. Non saranno le file dei fedeli con i loro cartelli. Neppure le schiere dei giornalisti che cercano spazio tra le statue lungo il braccio di Carlo Magno. Non sarà il feretro. Non sarà la tumulazione del papa. Ancora una volta saranno i vivi a rimanere nella mente di tutti: Trump e Zelensky seduti su due sedie troppo piccole per contenere tutta questa storia, nel mezzo della basilica che invece oggi ha dimostrato che di storia è pronta a vederne ancora tanta.