Karol Linetty sa adattarsi

Il centrocampista del Torino ha due qualità che fanno la differenza in squadre di medio livello in Serie A: dedizione e forza d’animo

Al giornalista che gli chiese se quel diciannovenne che aveva appena convocato in Nazionale fosse più simile a Luka Modric o a Sami Khedira, il commissario tecnico Adam Nawalka sbuffò, allargò le braccia, scosse la testa. Poi sibilò: “Non ha una domanda migliore?”. Il giornalista non aveva una domanda migliore. Insistette chiedendogli cosa la Polonia doveva aspettarsi da Karol Linetty. Adam Nawalka rispose che non aveva idea di cosa doveva aspettarsi la Polonia, lui però si aspettava “dedizione e forza d’animo”. Sottolineò che sicuramente non sarebbe rimasto deluso, perché “se c’è qualcosa che il ragazzo ha in abbondanza è proprio dedizione e forza d’animo. Lasciate perdere Modric o Khedira. Del primo non ha la classe, del secondo non ha il fisico, ma ha dedizione e forza d’animo. E questo basta per rendersi indispensabili”.

Karol Linetty forse non è mai stato indispensabile in nessuna squadra dove ha giocato, ma ovunque è andato è stato sempre utilissimo, un giocatore capace di convincere tutti gli allenatori che ha avuto a puntare su di lui. Pure uno come Ivan Jurić che lo aveva scambiato per un trequartista e pur di non ammettere di essersi sbagliato lo aveva relegato in panchina: era la stagione 2021-2022.

Un errore che avevano già commesso altri e diversi anni prima. Era arrivato a Genova, alla Sampdoria, con molte etichette addosso: quella di “trequartista”, quella di “genietto”, quella di “giocatore dalla visione di gioco sopraffina”. A Marco Giampaolo bastarono poche settimane per capire che il marketing del calciomercato è cosa odiosa. Quel polacco piccolo ma possente, tamugno e resistente non era né un trequartista né tanto meno un genietto. E non aveva nemmeno una visione di gioco sopraffina. Aveva però una caratteristica altrettanto importante: sapeva stare in campo, sapeva osservare sia i movimenti degli avversari che dei compagni. E questo è dote non comune. Soprattutto qualcosa di utile nel calcio tanto quanto il cibo nella vita. Perché i campioni servono per vincere partite (e trofei), ma quelli che sanno stare in campo ti permettono di perderne meno quando si allena una squadra che punta a non avere troppe preoccupazioni di retrocessione.

In nove stagioni in Serie A, Karol Linetty ha sempre giocato e sempre ha messo in campo quello che Adam Nawalka considerava necessario per un centrocampista: dedizione e forza d’animo. E queste due caratteristiche per squadre che come Sampdoria e Torino non ambivano ai trofei ma a una sopravvivenza tranquilla in Serie A sono davvero ciò che ti rendono necessario.

Linetty è ardore e determinazione, è sacrificio e abnegazione. Soprattutto si sente tutt’uno con la maglia che indossa: “In questo club ci sto da Dio. Sono orgoglioso di essere da tanti anni con il Toro. Torino è stupenda, è semplicemente casa mia. In questa città mi trovo come a casa”. E in campo è da anni che dimostra tutto questo.

Perché Karol Linetty è uno che si sa adattare. Fa quello che gli dicono di fare e lo fa sempre con gioia assoluta, quella di chi sa che in fondo sta facendo quello che aveva sempre sognato di fare. Corre e rincorre, difende e attacca. A volte lo trovi sulla destra, altre sulla sinistra. E se sino a pochi secondi prima lo avevi visto sulla destra non è detto che pochi secondi dopo tu non lo possa vedere sulla sinistra. Soprattutto appare in quasi tutte le azioni da gol del Torino. Anche quando non segna. Anche quando non concede l’assist.


Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.

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