TikTok è l’ostaggio di Trump nei negoziati commerciali con la Cina

Il tycoon continua a procrastinare la cessione obbligata delle operazioni statunitensi del social network, ormai diventato merce di scambio sul tavolo delle trattative con Pechino. Specialmente quando in mezzo ci sono dazi che nuocciono a entrambe le economie

Nel nuovo scenario multipolare della tecnologia globale, TikTok sta diventando il simbolo di una contesa commerciale e geopolitica che ridefinisce i rapporti di forza tra Stati Uniti e Cina. Non stupisce quindi che Donald Trump lo stia usando come merce di scambio nei negoziati con Pechino. L’Amministrazione Trump, pur avendo appoggiato e firmato la legge Pafaca – il Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act – non ha ancora imposto la cessione obbligata delle operazioni statunitensi di TikTok. La legge, approvata con ampio sostegno bipartisan, obbliga ByteDance, la società madre cinese dell’app, a vendere TikTok a un’entità americana o subirne il ban sul mercato americano – una prospettiva che anche la Casa Bianca vorrebbe scongiurare, dato che nel solo 2023 il social cinese ha contribuito per 24 miliardi di dollari al pil americano, con un impatto diretto su 220 mila lavoratori. Ma Trump ha già firmato due proroghe da 75 giorni, posticipando l’entrata in vigore del provvedimento fino al 19 giugno 2025. Da cosa deriva questa strategia di procrastinazione? Da un atteggiamento generale di Washington in materia, ma nel frattempo TikTok non è più solo rilevante per un tema di sicurezza nazionale: è ora diventato una “carta”, per dirla col presidente, sul tavolo delle trattative.

Nell’ecosistema digitale statunitense, TikTok è una forza culturale che raggiunge oltre 170 milioni di utenti: più di un cittadino statunitense su due è attivo sul social network. Ma dal punto di vista dell’intelligence americana, è anche una potenziale infrastruttura d’influenza e sorveglianza straniera, alimentata da algoritmi opachi per gli occidentali, e totalmente trasparenti per il governo di Pechino. Un timore che è stato recentemente più che ribadito anche dalla Corte Suprema. Ma la Cina, da parte sua, ha rafforzato il controllo su ByteDance, rendendo una vendita tecnologicamente completa quasi impossibile: l’algoritmo che alimenta TikTok è considerato tecnologia strategica e soggetto a restrizioni all’export.

Nel frattempo, TikTok si è ristrutturato. A Singapore, la sua unità e-commerce TikTok Shop ha cambiato vertici e governance, nel tentativo di presentarsi al mondo come entità globale, non vincolata esclusivamente agli interessi cinesi. Ma la credibilità di questa manovra è messa in discussione da molti analisti, che vedono in queste mosse una strategia cosmetica più che una reale cesura con Pechino. Così, mentre la guerra commerciale si intensifica e la rinegoziazione degli accordi sui dazi si fa più serrata, Trump tiene TikTok come leva. Una leva potente, resa ancora più rilevante dagli altissimi dazi imposti da Washington ormai praticamente solo ai loro rivali commerciali, dopo la riduzione temporanea al dieci per cento per tutti gli altri partner commerciali che, secondo il governo americano, avrebbero baciato le terga al presidente. Se Pechino accordasse una cessione delle operazioni del colosso cinese nel territorio americano, Trump ha fatto intendere che potrebbe venire a compromessi sui folli dazi imposti a Pechino. Dazi che nuocciono a entrambe le economie, ma che sembrano avere impatti più evidenti negli States che in Cina, benché entrambe le economie non stiano passando il loro miglior momento congiunturale. Le fonti della Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, escludono infatti al momento a priori un accordo di questo genere. Dal canto suo, uno dei candidati logicamente più papabili all’acquisto, Elon Musk, ha dichiarato già mesi fa e a più riprese di “non essere interessato” a entrare in TikTok. Gli ultimi mesi di dichiarazioni ci hanno insegnato a non fidarci troppo di quello che viene annunciato nei pressi della Casa Bianca, ma un deal al momento resta comunque improbabile.

Ironicamente, nel frattempo TikTok è diventata anche la piattaforma con cui diversi singoli produttori cinesi, mostrando la loro proverbiale resilienza commerciale, stanno provando a bypassare i dazi trumpiani con consigli spiccioli e ordini parcellizzati consegnabili negli Stati Uniti. E’ indubbio comunque che una buona fetta della sovranità tecnologica si eserciti oggi ormai anche nel dominio degli algoritmi, delle interfacce e dei flussi di dati. TikTok, in questa guerra simbolica, è l’ostaggio ideale: visibile, amato, vulnerabile. E oggi, in bilico tra due imperi digitali, è anche la prova generale di una nuova era in cui ogni app può trasformarsi in un campo di battaglia.

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