Pupi Avati: “Giuli intervenga. Il cinema è in codice rosso, la cultura non è una priorità per il governo”

Mentre il ministro della Cultura “manda bacini” dall’aula di Montecitorio, il regista torna a chiedere risposte per il settore cinematografico e l’istituzione di un ente ad hoc. La proposta del Pd? “Creare un’agenzia sul modello francese è più semplice da realizzare. Per un ministero, come chiede FI, serve almeno un anno e non abbiamo tempo”

“Non c’è alternativa. La situazione è disperata, il cinema italiano è in codice rosso, c’è bisogno di una terapia urgente. E per questo credo, spero, che una soluzione alla fine si troverà”. Pupi Avati è fiducioso, o almeno si sforza di esserlo. Il regista, uno dei maestri del cinema italiano, denuncia ormai da qualche anno la crisi del settore cinematografico.


Risponde al Foglio mentre alla Camera va in scena un question time. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, risponde alle sollecitazioni del Pd, che chiede quali interventi il ministero intenda mettere in campo per far fronte a un’emergenza che riguarda gli incassi e l’intera filiera del Cinema italiano. “Mando un bacino a Pupi Avati”, ha scherzato Giuli prima di assicurare interventi correttivi sul tax credit (su cui pende anche un ricorso al Tar): “Pochi giorni fa è stato firmato il decreto”. Il ministro ha quindi aggiunto che valuterà gli “stimoli interessanti” in arrivo dal Parlamento. Quelli cioè di Pd e Forza Italia, che hanno seguito l’appello dello stesso Pupi Avati, il quale per primo aveva chiesto l’istituzione di un organismo ad hoc, un ministero o un’agenzia, che si occupasse del cinema italiano. “In questo modo si libererebbe il ministero da un’incombenza, e ne ha già tante, per la quale non ha specifica competenza. Mentre nella mia proposta si tratterebbe di un organismo gestito da figure professionali, una sorta di agenzia tecnica e non politica”, spiega il regista.

Dopo la sua iniziativa qualcosa si è mosso, sono arrivare le proposte di legge del forzista Maurizio Gasparri e della segretaria dem Elly Schlein. “Innanzitutto la mia idea era quella di arrivare a una legge bipartisan, con un accordo tra partiti. Ma c’è stata una certa resistenza, quindi va bene così”, s’accontenta Avati. Anche perché, ricorda il regista, “ne avevo parlato già con il ministro Sangiuliano e più volte con Giuli”. Con che risultati? “L’attuale ministro ha mostrato interesse, ma non ha portato avanti la mia richiesta, come mi illudevo avrebbe fatto. Così mi sono rivolto a Tajani, di cui sono consigliere, provando a sfruttare una corsia preferenziale e poi direttamente a Schlein. Ma ne ho parlato anche con Dario Franceschini e Matteo Orfini”. Quest’ultimo era tra i firmatari dell’interrogazione a Giuli, la cui risposta in Aula è stata ritenuta insoddisfacente: “Il ministro continua a negare la crisi del settore”.

Avati non entra nel merito della polemica parlamentare, ma quanto alle proposte presentate da Forza Italia e Pd non si tira indietro: “Sono proposte simili, ma non sono la stessa cosa. Perché fare un ministero, come chiede FI, è molto complesso, occorre almeno un anno e non abbiamo più tempo”. I dem invece chiedono l’istituzione di un’agenzia. “E’ molto più semplice da realizzare e riflette il modello francese, che funziona benissimo e ha fatto sì che in Francia la crisi delle sale non sia stata avvertita, gli spettatori non sono diminuiti e il cinema transalpino ha mantenuto il primato nel paese”.

Secondo Avati insomma urge fare qualcosa, e in fretta: “Il cinema italiano non ha alternative. Deve liberarsi dalle persone incompetenti, ha bisogno di gente che capisca cos’è un film, non importa se di destra o di sinistra. E’ evidente che ci sono degli interessi per i quali, tragicamente, il denaro pubblico è stato dilapidato negli ultimi anni. Attraverso queste sciagurate leggi del tax credit sono state spese veramente delle cifre assurde. Mi pare ci siano anche delle indagini in corso e un procedimento al Tar”.

Il tax credit inoltre, nella revisione auspicata dal regista, “dovrebbe privilegiare il prodotto italiano e non i film che arrivano dall’estero”. Oltre a questo, dice Avati offrendo un’altra indicazione, “si può intervenire sulle finestre, per esempio”. Ci spieghi meglio. “Aumentare l’intervallo che intercorre fra l’uscita dei film in sala e la messa in onda sulle piattaforme televisive. In Francia è di 15 mesi, da noi solo di 3. Così la maggior parte delle persone non va più al cinema”.

Avati comunque prova a essere ottimista, anche se non nasconde “una profonda delusione”. Come mai? “Dopo la mia proposta ho ricevuto la solidarietà e l’interesse dei miei colleghi del cinema, ma le istituzioni invece non le ho avvertite così vicine”. Si riferisce anche al governo? “Questo governo ha avuto tanti problemi da affrontare e mi sembra lo abbia fatto per gran parte molto bene. Ma è evidente che non ha una vocazione culturale. La cultura non è una sua priorità, sono ancora legati all’idea che il cinema sia di sinistra, e questo li infastidisce. Ma non è così. Non ci sono schieramenti. Il cinema è bello oppure è brutto”.

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