Per l’Fmi, dazi e incertezza alimenteranno l’inflazione di circa 0,8 punti quest’anno e poco meno il prossimo, mentre la crescita europea perderà circa 0,2 punti. Ma a perderci di più sono gli Stati Uniti
La “tassa Trump” costa lo 0,8 per cento del pil globale. Lo stima il Fondo monetario internazionale nel nuovo World Economic Outlook diffuso ieri: “Tenendo conto dei dazi annunciati tra il primo febbraio e il 4 aprile dagli Stati Uniti e delle contromisure di altri paesi”, il tasso di crescita dell’economia mondiale sarà del 2,8 per cento quest’anno e del 3 per cento il prossimo, circa 0,8 punti al di sotto delle stime precedenti. Se si escludono i soli dazi annunciati ad aprile, la crescita aumenta di circa 0,2 punti. L’impatto sarà particolarmente forte negli Stati Uniti: dazi, incertezza e altri fattori incidono per quasi un punto di minore crescita nel 2025 e mezzo l’anno venturo, mentre alimentano l’inflazione di circa 0,8 punti quest’anno e poco meno il prossimo. Anche l’Europa, come il resto del pianeta, ne risentirà: per il Fondo la perdita di crescita sarà di circa 0,2 punti, una porzione non banale visti i tassi più modesti (+0,8 per cento). E l’Italia si colloca ancora sotto, a livello 0,4 punti percentuali. A determinare un rallentamento che l’Fmi definisce “significativo” è l’effetto combinato di dazi e incertezza.
Le barriere allo scambio determineranno sia un aumento dei costi dei beni importati (e quindi una minore efficienza nell’uso dei fattori produttivi) sia, nel lungo termine, una potenziale dislocazione delle filiere produttive. Di fatto potrebbero spingere i consumatori (incluse le imprese che acquistano prodotti intermedi) a rifornirsi o presso produttori meno efficienti, o comunque a pagare di più, con effetto a catena sul costo dei beni finali o sul reddito disponibile delle famiglie. Ma anche l’incertezza legata alle continue retromarce e alle minacce di dare una spallata a Jerome Powell, minando l’autonomia della Fed, preoccupano gli investitori. Il risultato paradossale è che, diversamente dal passato, il dollaro e Wall Street seguono una traiettoria peculiare: la fuga di capitali dagli States rischia di danneggiare ulteriormente l’America causando una fuga dei fondi verso altri lidi. Ma se gli Stati Uniti rallentano, alla fine perdono tutti.