Il governo ha chiesto e ottenuto una nuova proroga, al 6 maggio, per l’invio alla Corte penale internazionale della sua memoria difensiva sul caso del generale libico arrestato a gennaio e poi scarcerato e rimpatriato in Libia. Attesa nei prossimi giorni la decisione sull’indagine che vede coinvolti Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano
Il governo italiano ha chiesto e ottenuto una nuova proroga, al 6 maggio, per l’invio alla Corte penale internazionale (Cpi) della sua memoria difensiva sul caso di Osama Njeem Almasri, il capo della polizia penitenziaria libica arrestato in Italia lo scorso 19 gennaio su mandato di arresto internazionale della Corte dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità, poi scarcerato e rimpatriato in Libia due giorni dopo con tanto di volo di stato. Si tratta della seconda proroga chiesta e ottenuta dal governo Meloni: la scadenza iniziale per l’invio della documentazione era stata fissata dalla Corte al 17 marzo; il governo aveva poi chiesto di avere più tempo ed era stato soddisfatto, con una nuova deadline fissata al pomeriggio di ieri. E’ attesa invece nei prossimi giorni, entro martedì 29 aprile, la decisione del Tribunale dei ministri nei confronti della premier Giorgia Meloni, del ministro della Giustizia Carlo Nordio, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, per i quali la procura di Roma ha ipotizzato i reati di favoreggiamento e peculato (e nei confronti di Nordio anche di omissione di atti d’ufficio) proprio in relazione alla mancata esecuzione del mandato di arresto della Cpi a carico di Almasri.
Il generale libico, accusato di crimini gravissimi tra cui tortura, stupro e omicidio, venne fermato il 19 gennaio a Torino dalla Digos, il giorno dopo l’emissione di un mandato di arresto internazionale da parte della Cpi. Prima di procedere all’arresto, la Digos non consultò il ministro Nordio, che per legge ha competenza esclusiva in materia (l’articolo 2 della legge n. 237/2012 stabilisce che “i rapporti con la Cpi sono curati in via esclusiva dal ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito”). Di conseguenza, il giorno successivo (il 20 gennaio) la procura generale di Roma avvertì il ministro Nordio dell’arresto irrituale, sollecitandolo a comunicare le proprie “determinazioni” per eventualmente sanare l’errore procedurale. Nelle ore successive, la risposta di Nordio non è mai arrivata. Così la Corte d’appello di Roma non ha potuto fare altro che dichiarare il “non luogo a provvedere” e l’immediata scarcerazione di Almasri, poi rimpatriato in Libia con un volo della Compagnia aeronautica italiana, vettore utilizzato dai nostri servizi segreti.
Chiamato a dare spiegazioni in Parlamento, prima con una richiesta di informativa, poi in occasione di una mozione di sfiducia (respinta dalla Camera) nei suoi confronti, Nordio ha criticato la Cpi per le “imprecisioni, omissioni e discrepanze” che a suo parere caratterizzavano il mandato di arresto a carico di Almasri, e che erano talmente gravi da impedire l’immediata esecuzione del provvedimento. Dalla Corte penale internazionale hanno replicato che questi vizi di forma non erano di competenza del Guardasigilli (bensì del difensore di Almasri) e che comunque sono stati corretti con l’emissione di un secondo mandato di arresto il 24 gennaio. In quella data, però, il generale libico era già stato liberato e rimpatriato.
Nordio non ha mai chiarito per quale ragione non rispose mai alla richiesta giunta dalla procura generale di Roma volta a sanare l’arresto di Almasri, determinando così la liberazione del ricercato. Appare evidente che la mancata risposta di Nordio non è stata dovuta a un cavillo giudiziario, ma a una chiara volontà politica del governo. Tuttavia, sull’Italia pende l’obbligo di dare seguito ai mandati d’arresto della Cpi ai sensi del trattato istitutivo, e questo complica non poco la faccenda.
Il Tribunale dei ministri dovrà decidere se archiviare l’indagine nei confronti dei vertici del governo oppure inviare il fascicolo alla procura di Roma per chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere nei confronti degli indagati. Da Palazzo Chigi emerge la volontà del governo di attendere che il tribunale definisca la vicenda giudiziaria prima di inviare la memoria difensiva all’Aja.