C’è bisogno di un successore che sia in grado di condurre la chiesa con autorità, di difendere la tradizione e richiamare alla virtù e alla missione cristiana una società sempre più sgangherata
Al Totopapa puoi partecipare e raramente vincere sulla ruota di Roma (a noi con Ratzinger accadde, con i complimenti del New York Times), ma bisognava avere gli occhi foderati di prosciutto per guardare altrove. In generale si danno vanamente i numeri, per di più sbagliati. Anche il Totopapato è rischioso: sarà un altro Francesco? sarà un Paolo? sarà un Giovanni? un Pio? un Leone? un altro Benedetto? Mah. Quello che si può provare è un Totopapato non predittivo ma ottativo. Che tipo di papato vorresti? Come te lo immagini e come auspichi sia il prossimo vescovo di Roma? E qui la cosa si fa più interessante. Una chiave possibile è non già la vicinanza al popolo, che poi vuol dire al cuore social e mediatico della contemporaneità, non già la distanza fissata dal capitalismo, che non ha abolito la povertà ma ha fatto certo più dei pater noster nel ridurre la sua estensione e le diseguaglianze, non già la capacità di rincorrere e superare gli orizzonti aperti dalla Rivoluzione francese oltre due secoli fa con esiti alterni e se vogliamo anche dubbi, almeno in certi casi; piuttosto si richiederebbe al 268esimo Papa il senso della storia, se non una filosofia della storia, e della missione cristiana di contraddizione rispetto al mondo.
“Nel mondo, dal mondo ma non del mondo”, come dice il vangelo di Giovanni rivendicando una speciale prerogativa della fede apostolica e del popolo di Gesù Cristo, di cui il Papa è vicario in nome del Paracleto e del Padre. Per dare ordine a una storia sempre più pericolosamente sgangherata, forse ci vuole un Papa che sia capace di dare ordini al cuore e all’intelletto, di richiamare all’obbedienza e alla virtù, alla pazienza e alla speranza, cercando di riuscire persuasivo, autorevole e non banalmente autoritario, cercando di scuotere dalla paura e dalla sindrome dell’innocenza universale una terra abitata da gente un po’ infantile nel godimento del peccato originale, quella mela che pure fu mangiata, e feroce nell’applicazione politica delle conseguenze del peccato, con effetti gravi di autolesionismo. La Tradizione non ha necessariamente la maiuscola e può e deve essere sempre riformata, come la Chiesa, e una nota di letizia e di coraggio della gioia è sempre benvenuta, ma nell’aggiornamento può introdursi l’asperità del vero, come nucleo morale e filosofico e teologico di un’istituzione nata perché splenda qualcosa di inaudito e di contraddittorio, di metastorico, rispetto al già detto, al già fatto, e al vero perché fatto.
In un obituary molto ben concepito del New York Times, organo prestigioso della decristianizzazione a sfondo hollywoodiano introdotta dal Boston Globe con la sua famosa retata del 2002 (Il caso Spotlight, due Oscar), è stato scritto molto della campagna di denunce e di vociferazioni che ha abbassato il rango del clero a inediti livelli di impulsività criminale nel rapporto con i giovani, estendendo metodi di raccapricciante e devastante giustizialismo psicomorale all’insieme della cattolicità ecclesiale, ammutolendola, ordinandole di seguire un protocollo che ne annulla l’autonomia spirituale in nome della sofferenza delle vittime, elevata a numeri inverosimili da conferenze episcopali capaci di pagare per la loro ghigliottina, a esperienze grottesche di rappresentanza legale e propagandistica, a valore universale ed esclusivo di impurità e disdoro contro la persona. Ma in tanta abbondanza di particolari patologici sugli abusi non ho letto il nome di George Pell, il cardinale numero due o tre del papato di Francesco processato, incarcerato, devastato e poi scagionato pienamente dopo un anno di cattiveria e di molestia e abuso delle folle e delle corti dello stato australiano di Victoria, il Dreyfus dei cattolici che al contrario del capitano sbarcato in Bretagna dalla Caienna dopo l’assoluzione non ebbe il suo Zola (J’accuse) ed ebbe invece i suoi numerosi Maurice Barrès (Con il suo naso etnico, non è della mia razza), i suoi ignavi, i suoi delatori e accusatori anonimi, i suoi persecutori, i suoi amici di Barabba e un Vaticano imbelle disposto prima al disconoscimento e poi a un oblio senza discernimento. Ecco, ma è solo un esempio, un Papa come Matteo Zuppi, che appena elevato a capo dei vescovi italiani ha impostato una ricerca della verità che escludesse generalizzazioni e balle, ecco quella che sarebbe una bella sorpresa.
Il papato che vorremmo, e che non piacerebbe magari tanto quanto una fedele riproduzione dei caratteri e difetti del mondo moderno, oltre a richiedere obbedienza formale e sostanziale, oltre a richiedere impegno dell’intelligenza con il contraccambio della gioia dell’anima, dovrebbe entrare in una posizione di difesa e di combattimento, ché non si è mai vista una fede cattolica apostolica e magari romana senza una adeguata capacità di difesa e contrattacco. Pecore smarrite, i gesuiti erano stati fatti per questo, ideati e congegnati da un guerriero associato ai dolci combattenti e missionari che avevano fatto grande la Compagnia. Insomma ci vuole un papato che non si faccia dettare gli esercizi spirituali dal mondo, ma l’opposto. Nell’interesse della Chiesa e del mondo.