Una teoria per spiegare l’America divisa

Il clacson e perché vediamo le stesse cose, ma finiamo sempre più lontani

C’è qualcosa di illuminante, quasi commovente, nella teoria del clacson formulata dal Wall Street Journal per spiegare la polarizzazione americana. Mentre il dibattito pubblico si accartoccia su chi sia il vero responsabile delle spaccature – Trump? I social network? I campus? – l’articolo prende una strada diversa, più empirica e più umana. E mostra che forse il problema non è tanto nei contenuti quanto nella forma con cui li riceviamo: la nostra mente.

L’idea di fondo è semplice e devastante. Di fronte agli stessi segnali – una ricerca scientifica, un dato economico, persino un’auto che ci taglia la strada – tendiamo a interpretarli in base alle nostre convinzioni precedenti. Se sei convinto che il clacson salvi vite, ogni minima sterzata altrui è una ragione in più per usarlo. Se pensi che sia un gesto aggressivo, lo stesso episodio ti sembrerà insignificante, fastidioso al massimo. Lo stesso vale, suggerisce l’articolo, per il cambiamento climatico, la sanità pubblica, l’aborto. Vedi quello che vuoi vedere, leggi quello che ti conferma. E così le opinioni divergono, anche quando i fatti sono gli stessi.

L’elaborazione è sottile, fondata su decenni di psicologia cognitiva e testata con esperimenti reali. Il risultato è inquietante: più informazione abbiamo, più ci radicalizziamo. Più ci esponiamo a segnali ambigui, più li interpretiamo secondo la nostra linea di partenza. L’illusione della razionalità lascia il posto a una dinamica simile a quella della fede: ciò che “ci sembra vero” tende a rafforzarsi ogni volta che ci imbattiamo in qualcosa di incerto. La conseguenza non è solo l’impasse democratica, ma una società in cui le divisioni sono autoalimentate – da algoritmi, certo, ma anche e soprattutto da noi stessi.

Ecco allora il valore di questa chiave di lettura: non assolve né accusa, ma cerca di comprendere. Spiega perché i dati Gallup mostrano divari enormi su ogni questione politica tra Democratici e Repubblicani. Spiega perché, anche quando le notizie economiche sono le stesse, la fiducia dei consumatori cambia a seconda della tessera elettorale. Spiega perché la sensazione di vivere in due Americhe non è solo un’impressione, ma una struttura mentale.

In un’epoca di spiegazioni pigre, l’articolo del WSJ è un elogio dell’analisi non moralistica. E lancia una sfida seria: se vogliamo ridurre la polarizzazione, non basta “dire la verità”. Dobbiamo costruire modi nuovi per riceverla. Dobbiamo riconoscere che non basta avere accesso all’informazione – bisogna anche imparare a processarla in comune. Se no, suoneremo clacson sempre più forti, convinti di essere gli unici a guidare dritti.

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