Gli Emirati Arabi introducono l’AI nel processo legislativo con poteri propositivi, trasformandola in un potenziale co-legislatore. Una scelta efficiente ma rischiosa, che solleva dubbi etici e democratici
Che l’intelligenza artificiale sarebbe arrivata anche nei Parlamenti, era prevedibile. Che lo facesse dalla porta principale e con una delega quasi politica, un po’ meno. E’ il caso degli Emirati Arabi Uniti, dove il governo ha appena annunciato la creazione di un Regulatory Intelligence Office destinato a “suggerire regolarmente aggiornamenti alla nostra legislazione” e a contribuire attivamente alla scrittura di nuove leggi. Non si tratta, almeno sulla carta, di un semplice supporto tecnico. L’ambizione dichiarata – far dell’AI un co-legislatore – rovescia il paradigma occidentale della tecnologia come strumento neutro e colloca l’algoritmo in un ruolo tipicamente umano: quello del normatore. L’obiettivo, nelle parole dello sceicco Mohammad bin Rashid Al Maktoum, è rendere il processo legislativo “più rapido e preciso”. Difficile dubitarne: l’AI può già ora redigere testi normativi, comparare sentenze, segnalare incongruenze, anticipare scenari. In un paese che si muove con velocità autoritaria e investimenti miliardari, il salto di scala diventa possibile. L’uso dell’AI non si limita a sintetizzare, ma si estende alla proposta, alla previsione, alla revisione automatica di norme in base a dati giuridici e impatti economici.
Il punto non è tecnico, è politico. E qui l’esperimento emiratino merita di essere guardato senza entusiasmo, ma con attenzione. Se chiedere all’intelligenza artificiale di integrare l’attività legislativa è un conto – e molti governi già lo fanno, seppure in silenzio – delegarle il compito di proporre è un altro. Significa modificare l’origine dell’iniziativa politica, affidandola a una macchina che non conosce né il compromesso né la complessità morale. Un’AI che suggerisce riforme basandosi su pattern storici e correlazioni statistiche potrà anche essere efficiente, ma chi stabilisce se quelle proposte sono giuste? E in base a quale idea di società?
I ricercatori, giustamente, avvertono che l’AI resta un sistema opaco, soggetto a pregiudizi nei dati e a errori strutturali. Il rischio non è solo quello di leggi inefficaci, ma di leggi disumane, cioè incapaci di riflettere i conflitti e le eccezioni che ogni norma, per essere democratica, dovrebbe contenere. Come nota Keegan McBride, gli Emirati si muovono con una libertà d’azione sconosciuta alle democrazie: non devono convincere l’opinione pubblica, non devono passare per il voto, non devono affrontare ostruzionismi parlamentari. Resta da capire se tutto questo possa funzionare altrove, e soprattutto a quali condizioni. Forse l’IA potrà davvero aiutare a scrivere leggi più chiare, più veloci, più coerenti. Ma chi scrive le leggi scrive anche le eccezioni, e lì, per ora, serve ancora un umano. Meglio se imperfetto.