Il primo quotidiano interamente generato da AI accende un dibattito acceso tra esperimento editoriale e provocazione culturale. Tra entusiasmi, critiche e ironia, emerge un confronto sul senso stesso del giornalismo contemporaneo
Dalla Francia alla Spagna, passando per i commenti pungenti degli esperti di media digitali, l’esperimento del Foglio AI – il primo giornale realizzato interamente con intelligenza artificiale – ha fatto molto parlare. Alcuni lo hanno letto come una sfida audace, un modo per interrogare il futuro del giornalismo. Altri lo hanno bollato come una pericolosa semplificazione, un’autoparodia inconsapevole del giornalismo d’opinione. Comunque la si pensi, il dibattito ha ormai superato i confini italiani. E dice molto non solo sull’intelligenza artificiale, ma su come viene percepito il giornalismo oggi.
Lanciato il 18 marzo per quattro settimane, Il Foglio AI ha promesso di realizzare ogni giorno un fascicolo di quattro pagine scritto esclusivamente da ChatGPT, compresi titoli, editoriali, commenti e persino lo humour. La redazione si è limitata a porre le domande: l’AI ha risposto, e le risposte sono state pubblicate. Un esperimento radicale. E insieme un’operazione editoriale calibrata con la consueta ironia cerasiana: “Volevamo far passare il dibattito sull’AI da stato gassoso a stato solido”, ha detto il direttore Claudio Cerasa. Obiettivo raggiunto.
In Francia, Le Figaro e La Revue des Médias dell’INA hanno analizzato il progetto con curiosità e distacco critico. “L’AI sa rispettare le consegne: struttura, lunghezza, tono. Ma non ha esperienza del mondo”, scrive Valérie Segond. Priscilla Ruggiero, che ha coordinato l’esperimento, ricorda che l’AI tende a inventare fatti se le si pongono domande troppo aperte, e che “va istruita anche sulle date”, perché non ha consapevolezza temporale. In un passaggio emblematico, è l’AI stessa ad ammettere i suoi limiti: “L’intuizione, la sorpresa, il gesto laterale, l’élan personale qu’engendre un regard – je ne peux le faire”. Ecco la soglia, almeno per ora, dell’irraggiungibilità umana.
Ma proprio per questo – osservano alcuni – l’operazione rischia di essere ambigua. Poynter ha parlato di uno stile “piatto e generico”. Il portale Mowmag.com ha liquidato il supplemento come “boomerismo giornalistico”. E il giornalista Alberto Puliafito, in un’analisi approfondita per The Fix, ha usato l’intelligenza artificiale per studiare gli articoli dell’intelligenza artificiale, arrivando alla conclusione più radicale: “Quello che leggiamo non è giornalismo, ma una simulazione stilizzata della postura editoriale”. Secondo Puliafito, i testi di Foglio AI sono pattern preconfezionati: “Una tesi provocatoria, qualche dato vago, tono ironico, nessuna verifica. Il rischio non è che l’AI sostituisca i giornalisti, ma che certi giornalismi si siano già ridotti a qualcosa che una AI può replicare”.
E’ una critica severa, condivisa da altri osservatori come Antonino D’Anna su Start Magazine, che teme una standardizzazione del lavoro redazionale, e da Vittorio Roidi, storico giornalista ed editorialista, che definisce l’esperimento “un gol nella propria porta”. Ma come risponde Cerasa? Con i numeri. Le vendite del giornale sono aumentate del 70 per cento nella prima settimana dell’esperimento. “E i lettori erano quasi tutti divertiti. Alcuni hanno scoperto Il Foglio proprio grazie alla sua versione artificiale”, ha detto in più interviste.
In Spagna, AMI.info ha presentato Il Foglio AI come “il primo quotidiano realizzato interamente con AI”, sottolineando che si tratta di una riflessione pubblica, non di una fuga in avanti: “Abbiamo voluto capire dove funziona e dove sbaglia, e cosa dobbiamo fare per essere più intelligenti delle macchine”, ha dichiarato Matteo Matzuzzi, caporedattore. Non per sostituire il giornalismo, ma per misurarlo.
E in effetti, più che un passo oltre il giornalismo, Il Foglio AI è stato un passo di lato. Una messa in scena, talvolta autoironica, della forma opinionista contemporanea. Il “giornalismo di commento” – spesso scritto da penne esperte di stile, ma senza accesso privilegiato ai fatti – è il genere che più facilmente l’intelligenza artificiale riesce a imitare. Non è un caso che proprio qui si concentri il cuore del dibattito.
C’è chi sottolinea l’abilità imitativa dell’AI: “Scrive bene, rispetta lo stile, apprende velocemente”, ha detto Giulia Pompili, inviata del Foglio. Ma c’è anche chi nota che proprio questa abilità mette a nudo il rischio di una forma giornalistica che ha perso mordente: “Se bastano i prompt giusti per simulare un’intera redazione, vuol dire che dobbiamo reinventarci”, ha scritto Puliafito.
Il verdetto, forse, sta proprio qui: Il Foglio AI ha mostrato che l’AI può già fare qualcosa, e che quel qualcosa assomiglia molto a ciò che spesso chiamiamo giornalismo d’opinione. Ma ha anche mostrato – con trasparenza, e perfino con onestà brutale – ciò che ancora manca: il rapporto con la realtà, la fallibilità umana, il gesto laterale, il colpo d’occhio.
Cerasa promette che l’esperimento non è finito. “Sabato annunceremo qualcosa”, ha detto. Lo aspettiamo. Magari con una bottiglia di champagne. O con una nuova domanda per la macchina