Il calo dell’immigrazione. I numeri danno ragione a Meloni, ma nessuno commenta: applaudire sarebbe sconveniente

La diminuzione degli sbarchi in Italia, rivendicato da Meloni durante l’incontro con Trump, ha suscitato un silenzio bipartisan perché scomodo per entrambe le narrazioni politiche. Il risultato, frutto anche della cooperazione europea, mostra un approccio pragmatico all’immigrazione, ma nessuno osa riconoscerlo apertamente

C’è un momento, nel teatrino della politica italiana, in cui il sipario si abbassa, le luci si fanno fioche e il pubblico – cioè noi – resta in silenzio. E’ successo il 17 aprile, quando Giorgia Meloni ha incontrato Donald Trump nello Studio Ovale. Un appuntamento atteso, una sfilata tra bandiere e sorrisi stretti, una coreografia perfetta per chi ama il potere e sa come farsi guardare. Ma anche un’occasione per dire qualcosa di concreto. E Meloni, a sorpresa, l’ha fatto: ha rivendicato il calo dell’immigrazione irregolare in Italia.

Non era un tema che tutti si aspettavano al centro del bilaterale, e forse proprio per questo è stato tanto più rilevante. “In Italia – ha detto la premier – abbiamo ridotto del 25 per cento gli sbarchi rispetto all’anno scorso”. Non un’opinione, non una promessa: un numero. Un dato confermato anche dalle fonti ufficiali del Viminale. Circa 12.100 migranti arrivati via mare tra il 1° gennaio e il 17 aprile 2025, contro i 16.200 dello stesso periodo nel 2024. Eppure nessuno, né a destra né a sinistra, ha detto nulla. Nessun tweet di plauso. Nessun post indignato. Nessuna polemica. Solo silenzio. Ma il silenzio, in politica, non è mai neutro. E’ una strategia. E’ una forma di autocensura quando la realtà non si lascia piegare alla narrazione. A sinistra, dire che Meloni ha ottenuto un risultato sulla questione migratoria significherebbe legittimare la sua agenda. Peggio ancora: vorrebbe dire ammettere che l’immigrazione irregolare è un problema da affrontare e non un tabù da evitare. E quindi niente: si tace. Non si può rischiare di fare il gioco dell’avversario. Anche se l’avversario, per una volta, ha usato le regole.

Ma non va meglio a destra. Anzi, per certi versi va peggio. Perché se c’è davvero un calo dell’immigrazione irregolare, bisogna spiegare perché. E qui arriva la parte scomoda: quel risultato non è figlio di una chiusura unilaterale delle frontiere, né di un atto di sovranismo muscolare. E’ figlio anche – se non soprattutto – della cooperazione europea, dei fondi stanziati per il Nord Africa, dei meccanismi di pattugliamento congiunto, del lavoro diplomatico con paesi terzi. In altre parole: Meloni ha fatto la destra governativa, quella che dialoga con Bruxelles. Ma l’estrema destra che vive di “stop invasione” e sogna un’Italia autosufficiente non può dirlo. Non può riconoscere che l’Europa, quando c’è, funziona. E quindi tace anche lei.

Il risultato è un paradosso. Per anni si è discusso, ci si è accapigliati, si è urlato sugli sbarchi. Cifre, foto, dichiarazioni, emergenze. Poi, quando i numeri migliorano, nessuno li guarda. Nessuno li contesta, certo. Ma neppure li rivendica. Il punto, però, è che questo silenzio dice molto su come stiamo trattando la questione migratoria in Italia. Non come una materia da gestire, ma come un simbolo da usare. Finché l’immigrazione irregolare cresceva, era una clava da agitare contro i governi di turno. Ora che si è ridotta, non serve più a niente. Nessuno sa come incassarla. Meloni, da parte sua, ha capito il valore strategico di questa vittoria contenuta. Non è un trionfo, non è la fine degli sbarchi, non è la “linea dura” che i lepenisti sognano. Ma è un risultato concreto, gestito con pragmatismo, costruito anche grazie all’alleanza europea. Forse è il segno che qualcosa si sta spostando. Che l’Italia, anche solo per un attimo, può affrontare l’immigrazione non come un destino ineluttabile o una guerra culturale, ma come una materia di governo. Peccato che, quando succede, l’unica cosa che riusciamo a dire è niente.

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