Gli estremisti islamici fanno un massacro in Kashmir. Ma stavolta qualcosa è cambiato

Decine di morti e feriti in un attacco terroristico nella turistica Pahalgam. La popolazione locale ha protestato e condannato l’evento, segnando un cambio di passo rispetto al passato. Anche alcune moschee hanno preso posizione contro gli estremisti

Ventotto morti e dodici feriti, ma il bilancio potrebbe aggravarsi con il passare delle ore. E’ quanto si sa finora sull’attacco terroristico che ha colpito la località turistica di Pahalgam, in India, nello stato di Jammu e Kashmir. Un commando composto da quattro uomini ha fatto irruzione in un’area affollata, ma non ha aperto il fuoco in modo indiscriminato. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, i terroristi hanno chiesto di esibire i documenti d’identità e costretto gli uomini a calarsi i pantaloni per identificarne la religione. I non musulmani sono stati giustiziati a sangue freddo. La ferocia dell’attacco è emersa in un dettaglio che colpisce come un pugno allo stomaco: una donna, dopo aver visto uccidere il marito, ha gridato ai terroristi di sparare anche a lei. La risposta è stata gelida: “No, tu rimani viva per raccontarlo a Modi”. Tra le vittime c’è anche un cittadino nepalese. Tre dei quattro attentatori sarebbero stranieri, il quarto originario della zona, secondo fonti dell’intelligence indiana. Gli stessi servizi segnalano l’uso di proiettili M4, compatibili con fucili d’assalto americani impiegati dalle truppe Nato.



Dopo poche ore è arrivata la rivendicazione da parte del gruppo The Resistance Front (Trf), branca della ben nota organizzazione terroristica pakistana Lashkar-e-Taiba (LeT). Nato nel 2019, poco dopo l’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione indiana – che garantiva uno status speciale al Jammu e Kashmir – il Trf è guidato da Sheikh Sajjad. Nonostante le dichiarazioni di autonomia dalla “casa madre”, il gruppo rimane composto in larga parte da miliziani legati alla LeT. Le armi e i metodi sembrano provenire da quella zona grigia al confine con l’Afghanistan, dove ancora oggi sopravvivono campi di addestramento ereditati dal caos post-Nato. Luoghi che ospitano e riforniscono gruppi come la LeT e la Jaish-e-Mohammed, responsabile dell’attacco di Pulwama del 2019 in cui morirono più di quaranta militari indiani.


Anche questa volta l’attacco è stato meticolosamente pianificato. Non solo per la logistica e l’armamento, ma anche per il tempismo: il premier indiano Narendra Modi si trovava in Arabia Saudita per una visita ufficiale (è già in rientro anticipato), mentre il vicepresidente americano Vance si trovava in Rajasthan insieme alla moglie Usha, di origine indiana. Pochi giorni prima, il capo delle forze armate pachistane, generale Asif Munir, aveva tenuto un discorso infuocato: sottolineava la “totale differenza” tra induisti e musulmani, vantava la superiorità dei valori pachistani e ribadiva che il Kashmir è “la giugulare del Pakistan”. Dichiarazioni che suonano sinistre, alla luce degli eventi. E che ignorano, peraltro, la realtà storica: il Kashmir non è mai stato parte del Pakistan, che ne occupa illegalmente una parte tuttora amministrata da Islamabad. Ma stavolta qualcosa è cambiato. La popolazione kashmira è scesa in strada, con fiaccolate e proteste, chiedendo giustizia. Nessuno vuole perdere la fragile stabilità conquistata negli ultimi anni né il flusso economico legato al turismo. Anche alcune moschee – tre o quattro, un segnale non da poco – hanno condannato pubblicamente l’attacco utilizzando i loudspeaker della chiamata alla preghiera.



Nel resto dell’India cresce la pressione sul governo per una risposta decisa. Islamabad, come da copione, ha inviato le sue condoglianze e – in una manovra ormai trita – ha accusato l’India di aver inscenato l’attacco per criminalizzare il Pakistan. Un tentativo disperato di deviare l’attenzione dai massacri che lo stesso esercito pachistano sta compiendo in Balochistan e nel Khyber Pakhtunkhwa, dove a pagare sono donne e ragazze disarmate, colpevoli solo di alzare la voce. Per il generale Munir e i suoi, l’ennesimo scontro col nemico esterno è il diversivo perfetto per nascondere le crepe interne. Ma questa volta, forse, il copione rischia di non funzionare.

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