Tra la siccità in Sicilia e la mancanza di 6,6 miliardi nelle casse dell’Inps, la politica trasforma i dati concreti in narrazione, facendo della contabilità un numero retorico. I dati esistono, ma diventano opinioni quando servono più a rassicurare che a spiegare
Il peggiore uso della contabilità è quando la si dedica a fini retorici o propagandistici, non per sapere, bensì per far credere ai semplicioni, che in siciliano si chiamano ammuccalapuni. A Palermo, l’Amap, società che gestisce l’acqua con la solennità di chi sa quanto ne resta, lancia l’allarme: i bacini sono secchi, le scorte ridotte a un terzo, e per un quarto di milione di cittadini è già tempo di razionamenti come nel deserto del Gobi. I numeri ci sarebbero, nudi e crudi: 43,5 milioni di metri cubi d’acqua contro i 147 milioni di tre anni fa. Numeri, non opinioni. Ma la Regione siciliana, che guarda i dati come si guardano gli oroscopi di Paolo Fox, risponde serena e ottimista: “Niente panico, non esageriamo”. Sicché il capo della protezione civile regionale, con tono rassicurante e lessico da manuale del portavoce, ci invita a non usare parole come “drammatico”. Forse ha ragione lui: se smettiamo di usare la parola sete magari i palermitani si sentono già dissetati. Intanto, per rimanere in tema di tabù linguistici e opinioni sulla matematica, a Roma l’Inps si accorge che dalle sue casse mancano 6,6 miliardi. Colpa dei condoni, dice il Consiglio di indirizzo e vigilanza. Colpa, insomma, di quelli che negli anni al governo hanno perdonato contributi previdenziali evasi con la stessa facilità con cui si cancella una multa nel Monopoli. Ma la presidenza dell’Istituto, in coro con il Consiglio di amministrazione, la direzione generale e il sottosegretario leghista Claudio Durigon, si affretta a rassicurare: “Ma quali miliardi? Quei soldi erano già persi!”. Erano soldi inesigibili, svalutati. Le opposizioni sbraitano contro i condoni che premiano gli evasori, il leghista Durigon scrolla le spalle e parla di “abbaglio” (e dobbiamo credergli perché lui di buchi se ne intende: fece Quota 100).
Ma intanto il cittadino sta lì con la calcolatrice in mano, a chiedersi se quei 6,6 miliardi siano mai esistiti o siano solo un miraggio come l’acqua di Palermo. L’unica cosa che si capisce di questa ginnastica è che i numeri ci sono, ma – attenzione – sono interpretati. Se i crediti sono inesigibili, allora non sono mancanti. Semplice, no? E’ il miracolo italiano della contabilità emotiva, verrebbe da dire. Così l’acqua che non c’è è gestibile, i soldi che mancano sono figurativi, Palermo non è a secco ma è appena un po’ idricamente introversa, e l’Inps evidentemente non ha un buco: ha un ammanco narrativo. Come si possono guardare gli stessi dati, litri d’acqua o miliardi di euro, e raccontare storie opposte? Chissà. Verrebbe da dire che questo sia il miracolo di una scienza che non serve a capire, ma a convincere. Non illumina, ma confonde. La disciplina del trasformare un rubinetto a secco in una sorgente di parole. Non ci resta che questa allegra abilità. Assieme al fatto che 250 mila persone a Palermo devono davvero centellinare l’acqua manco fosse champagne, e che 6,6 miliardi delle pensioni sul serio non torneranno mai più. Queste sono le uniche cose certe. Il resto è matematica, cioè un opinione.
Post scriptum: A Palermo, se l’acqua finisce provate a farvi la doccia con le parole della Regione. Non rinfrescano, ma almeno a differenza delle pensioni dell’Inps sono gratis.