La Corte europea per i diritti dell’uomo ha considerato inammissibili vari ricorsi contro la legislazione italiana che chiedevano di condannarla perché non ammette la trascrizione all’anagrafe degli atti di nascita di bambini nati con la maternità surrogata, sia quelli avanzati da coppie omosessuali sia quello proposto da una coppia eterosessuale. La Corte ha aggiunto che le coppie avrebbero dovuto ricorrere all’adozione.
Se in questo modo dovrebbe concludersi la vicenda giuridica e il tentativo di descrivere la legislazione italiana (che non è stata fatta dal governo attuale ma che è restata invariata, mentre si punta a rendere universale il reato connesso) come estranea o addirittura opposta a quella europea, resta il problema umano dei bambini, ovviamente incolpevoli anche se frutto di azioni illecite. Su questo punto si è espressa Eugenia Roccella, titolare del ministero della Famiglia, che propone, se dovesse essere approvata la norma che rende reato universale la maternità surrogata, di accompagnarla con una specie di sanatoria per i bambini procreati fin qui in tale modo.
Affrontare un problema così delicato senza cadere negli opposti estremismi, proibire l’uso strumentale delle donne indotte a cedere in affitto il proprio utero, e poi chiudere in qualche modo la situazione pregressa in modo da evitare che siano i bambini a pagare per le decisioni dei genitori non biologici non sarà semplice, perché il desiderio di strumentalizzare le emozioni, lo sdegno per l’utero in affitto da una parte, la compassione per i bambini lasciati in un limbo giuridico e anagrafico dall’altra, a fini politici e propagandistici è molto forte. La sentenza di Strasburgo, equilibrata e consapevole dei problemi che restano aperti, dovrebbe spingere verso il disarmo ideologico e la ricerca comune di soluzioni appropriate.