Xi, Putin e i nostri voti. Ecco come si combatte la disinformazione durante la campagna elettorale europea

Il voto in Europa riguarda quasi 450 milioni di persone ed è costantemente sotto l’attacco di ingerenze straniere e interne, con l’aggiunta dell’ultima innovazione tecnologica, l’intelligenza artificiale. I nostri strumenti e le campagne di Russia e Cina

Questo è “un anno cruciale per le democrazie”, ripete la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourová, che ha dato il via a quello che definisce “un tour della democrazia” nei paesi dell’Ue per sensibilizzare tutti gli interlocutori – i leader, i partiti, i media, i cittadini europei – sui pericoli della “disinformazione on steroids” che deforma i processi elettorali in occidente. Il voto europeo è previsto dal 6-9 giugno, riguarda quasi 450 milioni di persone ed è costantemente sotto attacco delle ingerenze straniere e di quelle interne, con l’aggiunta dell’ultima innovazione tecnologica, l’intelligenza artificiale. La Commissione e il Parlamento sono impegnati dal 2019 a trovare misure di contenimento della disinformazione, con agenzie e progetti dedicati, con una responsabilizzazione delle piattaforme online – social e motori di ricerca – e con progetti dedicati ai cittadini. E’ un lavoro collettivo che deve durare nel tempo, dice Jourová: si basa sulla “fiducia”, come qualsiasi rapporto tra i cittadini e la cosa pubblica, in cui nessuno deve sentirsi sollevato dalle proprie responsabilità. E’ un lavoro che, quando funziona, dimostra quanto capillare sia la deformazione disinformativa. Ieri l’Agenzia per la sicurezza informativa della Repubblica ceca ha scoperto un network a guida russa che cercava di influenzare il processo elettorale in vista delle europee in Germania, Francia, Polonia, Belgio, Paesi bassi e Ungheria. Questo network sosteneva finanziariamente politici che parlano della necessità di una pace (cioè di una resa) in Ucraina e che dicono che sospendere l’invio di armi metterà fine alla guerra della Russia. Erano previsti anche fondi per il sito Voice of Europe, che è a Praga ed è prorusso.


Kuleba e la propaganda russa. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmitro Kuleba, ha incontrato ieri online alcuni giornalisti stranieri e ha detto che “la propaganda russa non è così un successo come pretende di essere”: i pacchetti di assistenza a Kyiv continuano a essere approvati, “i sondaggi dimostrano che i cittadini europei continuano a sostenere l’Ucraina” così come i governi. Ci sarà un’intensificazione della propaganda russa, dice Kuleba, in vista delle elezioni europee, e poi di quelle americane: “La Russia non risparmia sforzi per accusare l’Ucraina di ogni tipo di crimine per screditarla e per diminuire il sostegno”. Mosca “non ha linee rosse”, dice il ministro, mentre l’occidente ne pone molte perché si ispira a valori e regole che devono essere rispettati nella convivenza democratica, ma Kuleba si augura che ci sia una risposta più dura per controbattere alla propaganda, la nostra libertà e il nostro pluralismo non bastano per sconfiggere l’offensiva disinformativa russa: “Se le permettete di operare nel vostro paese, seminerà divisioni e farà di tutto per destabilizzare il vostro paese”.

“La propaganda russa non è un successo così grande come pretende di essere”, ha detto il ministro degli Esteri ucraino Kuleba


La campagna Doppelgänger. Rispetto alle elezioni europee di cinque anni, la situazione è cambiata parecchio, Innanzitutto siamo cambiati noi. Mattia Caniglia, direttore associato dell’Atlantic council, ci ha detto che c’è una grande differenza di visione e di sensibilità strategica. L’Ue si è mossa e anche i paesi membri hanno creato delle agenzie governative con lo scopo di combattere la disinformazione, come Viginum, in Francia. “Sulla lotta alle disinformazione c’è un po’ un’Europa a più velocità. I paesi Baltici, la Polonia, gli scandinavi si sono mossi da tempo, il resto dei paesi è stato più lento”. Mentre noi ci svegliamo, e oggi una campagna come quella avvenuta durante le elezioni americane del 2016 non sarebbe più possibile, anche gli attori della disinformazione hanno affinato le loro tecniche. C’è un esempio che spiega bene che evoluzione c’è stata: la campagna Doppelgänger. “Si tratta di un’operazione molto sofisticata, diffondeva sui social o su Telegram dei link che rimandavano a siti identici al Guardian o al Monde e ad altre testate, ma diffondevano disinformazione. L’evoluzione che s’è stata in questi anni riguarda anche il microtargeting, per esempio sulle armi”. Caniglia ci spiega che in Francia c’è stata tutta una campagna contro l’invio dei cannoni Caesar, che raccontava che una volta finiti in mani ucraine sarebbero stati venduti a paesi autocratici. In Italia, invece, era più generica perché il dibattito non si concentrava su un’arma specifica. Ma gli attacchi non sono soltanto contro i paesi, anche contro le istituzioni comunitarie.


Attacchi settimanali. Gli attacchi contro il Parlamento europeo (Pe) avvengono praticamente ogni settimana. Quando a febbraio gli agricoltori hanno assediato Bruxelles con i loro trattori sui social media si sono moltiplicati i post con la foto delle barriere di sicurezza installate dalla polizia belga davanti alla sede del Pe. Il messaggio era: i deputati, barricati nel loro palazzo, non vogliono ascoltare la gente comune, dicono di andare a votare per le elezioni, ma poi mettono il filo spinato perché non sono interessati al dialogo. Un altro caso recente riguarda un post con una foto di un deputato europeo che sniffa cocaina in plenaria, associato a Volodymyr Zelensky che meriterebbe un posto nell’emiciclo di Strasburgo. In realtà la fotografia risale a diversi anni fa, è stata scattata al Bundestag tedesco e l’ex deputato sniffava tabacco. Il messaggio: sono tutti cocainomani. Spesso vengono usate foto di emendamenti presentati da pochi deputati – il più delle volte dell’estrema destra e dell’estrema sinistra – mostrati come documenti ufficiali adottati dal Pe, anche se nessuno li ha votati o sono stati bocciati.

EUvsDisinfo. Nel corso degli anni nell’Ue ha assunto un ruolo sempre più importante la Task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna diretto da Josep Borrell. Il suo sito EUvsDisinfo è diventato un punto di riferimento per svelare e contrastare la disinformazione della Russia (e della Cina). Partita come attività secondaria e mirata su Ucraina, Georgia e paesi dei Balcani, la StratCom diretta da Lutz Guellner è cresciuta sempre più in termini di risorse finanziarie e umane. Sono state organizzate esercitazioni e simulazioni con le istituzioni dell’Ue e i 27 stati membri per migliorare le capacità di individuare il più rapidamente possibile le minacce ibride e coordinare le risposte. L’Ue ha soprattutto rafforzato il suo dispositivo legislativo con l’entrata in vigore del Digital Services Act (Dsa).

Le linee guida per Big Tech. Martedì la Commissione ha pubblicato le sue raccomandazioni alle grandi piattaforme. Le linee guida prevedono di rafforzare i processi interni delle piattaforme, con la creazione di squadre dotate di risorse adeguate per mitigare i rischi. Le piattaforme sono invitate a promuovere informazioni ufficiali, attuare iniziative di alfabetizzazione mediatica e adattare i loro sistemi di raccomandazione per ridurre la viralità dei contenuti che minacciano l’integrità dei processi elettorali. La Commissione chiede anche di adottare misure specifiche per l’intelligenza artificiale per contrastare l’uso di deep fake. Le piattaforme dovrebbero introdurre un meccanismo di risposta agli incidenti durante un periodo elettorale. Alla fine di aprile la Commissione organizzerà uno stress test: “Le elezioni per il Pe sono particolarmente vulnerabili”, ci ha detto una fonte della Commissione: “Le risorse delle piattaforme saranno sotto pressione perché ventisette paesi vanno al voto”. Le piattaforme che non fanno tutto il necessario per mitigare i rischi rischiano multe fino al 6 per cento del fatturato globale annuale o multe quotidiane fino al 5 per cento del fatturato giornaliero.

Oggi non basta il fact checking, servono misure proattive e non solo reattive: non basta guardare il proiettile, bisogna risalire all’arma

Gli influencer della disinformazione. Gli autori della disinformazione sono russi, cinesi, gruppi complottisti, anti migranti o anti Lgbt. Le tecniche e gli strumenti si sono affinati nel corso degli anni e ognuno ha il suo stile. I russi, per esempio, sono più diretti, i cinesi agiscono sottotraccia e a volte cavalcano gli uni le campagne degli altri. Poi c’è la “cattura delle élite”, cioè utilizzare personalità mediatiche e politiche per diffondere i temi e i messaggi della disinformazione, ha un ruolo sempre più centrale. Il Pe ha messo in piedi una task force apposita sulla disinformazione, che collabora con le altre task force delle istituzioni dell’Ue. I tre pilastri dell’azione sono: l’analisi del rischio, la resilienza attraverso l’educazione mediatica e il coordinamento della risposta se il Pe è direttamente attaccato.

La mappa fino a ora. In vista delle europee è stata fatta la mappatura di ciò che è accaduto negli ultimi 18 mesi alle elezioni nazionali. Sono emerse tre tendenze comuni: la disinformazione per dire che le elezioni sono fraudolente o rubate, il tentativo di scoraggiare alcuni gruppi a partecipare al voto, e il ricorso ai temi considerati polarizzanti per accrescere la polarizzazione, seminare il caos e dare l’impressione che chi sta al governo non sia in grado di dare risposte. L’obiettivo è “fare in modo che lo spazio informativo sia il più caotico possibile, la gente non si fidi più di nessuno, perda la fiducia nelle istituzioni e si convinca che la democrazia non funziona più”, ci ha spiegato Delphine Colard, vice portavoce capo del Parlamento europeo. Gli autori della disinformazione e della manipolazione sono diventati particolarmente abili a targetizzare le narrazioni a seconda del paese. In Francia funzionano bene i migranti, la guerra in Ucraina, la contrapposizione tra comunità ebraica e musulmana. In Polonia i temi sono gli agricoltori e i prodotti agricoli ucraini. In Spagna il catalizzatore della polarizzazione è la Catalogna, in Portogallo i diritti Lgbt. La prima risposta del Pe è quello della resilienza: informare i cittadini dei rischi che la disinformazione fa pesare sulla democrazia e il suo funzionamento (con formazione, seminari, workshop). Il “debunking” è affidato ai fact checker, ma non è una soluzione miracolosa. Per questo parte della risposta è preventiva: il “prebunking” attraverso informazioni pubbliche e ufficiali sull’importanza di andare a votare e di partecipare al dibattito. Stessa cosa si può dire del fact checking, è un processo reattivo, ci ha spiegato anche Caniglia, e oggi, rispetto a cinque anni fa, i metodi per contrastare la disinformazione si concentrano di più sui processi proattivi: “L’importante non è più soltanto individuare i bot, ma capire da dove vengono, chi li paga, come è gestita la loro filiera. Il fact checking si concentra sul proiettile, invece dobbiamo guardare alla pistola e a chi la fabbrica”.

L’impatto della disinformazione varia da paese a paese. Le recenti elezioni in Estonia, Finlandia, Svezia e Slovacchia sono servite da caso di studio. “Più è elevata l’alfabetizzazione mediatica e la consapevolezza della minaccia, meno la disinformazione è efficace”, ci ha spiegato una fonte della Commissione. In Finlandia la manipolazione non ha sfondato. In Slovacchia è diventata benzina elettorale. Lo stesso vale per il ruolo dei media tradizionali. Nei paesi in cui sono meno indipendenti e meno forti, la disinformazione si diffonde con grande facilità. Dove invece la stampa libera è forte e accurata, i rischi sono inferiori. “La solidità del corpo mediatico gioca un ruolo fondamentale”, spiega un altro funzionario: “Combattere la disinformazione e basta serve a poco. Bisogna lavorare sull’intera società”.

(ha collaborato David Carretta)

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