Oltre Gaza, perché non possiamo non dirci ottimisti

Tante cose sono andate storte, dalle guerre all’economia, ma la svolta in medio oriente apre uno spiraglio di fiducia

Come si fa a non essere ottimisti ora che verranno liberati gli ostaggi nelle mani di Hamas e che verrà raggiunta una tregua? Non è la pace in Palestina, se mai ci sarà, ma finisce la carneficina cominciata il 7 ottobre di due anni fa. Invece in Ucraina continua, ma una cosa alla volta: la “Grande Madre Russia” è ben più dura di Hamas. Abbiamo trascorso questi mesi del 2025 in preda a deliri di onnipotenza, fanfaluche ideologiche, trionfalismo egotico, arrogante ignoranza, con gente che scambia l’Armenia per l’Albania e pensa che l’Alaska sia un paese straniero mentre la Groenlandia diventa uno stato a stelle e strisce. Ci siamo sorbiti il cazziatone di un botolo ringhioso che in nome della libertà e della sua interpretazione eretica (per i cattolici) del Vangelo fa propaganda a favore della pena di morte, quindi contro la sacralità della vita e il primo dei diritti dell’uomo. Quante ne abbiamo ingoiate, ma siamo ancora in piedi e stiamo cominciando a digerire persino i bocconi più amari. Nel gennaio scorso, su queste colonne del lunedì, è stato pubblicato un mio lungo articolo dedicato all’ottimismo nonostante tutto, l’ottimismo della ragione, quello che fa appello alla realtà e al buon senso (il common sense di Thomas Paine), che si attiene ai fatti e chiude gli orecchi alle sirene della propaganda. Era un pezzo che cominciava con la domanda: come si fa a essere ottimisti con quel che sta accadendo? Oggi forse bisognerebbe chiedersi come si fa a non essere ottimisti dopo l’importante svolta nella guerra di Gaza.

In realtà, molte delle brutte cose che potevano succedere sono accadute davvero. Gli ucraini sono stati messi in serie difficoltà da un Putin che non molla ed è riuscito a far fesso Donald Trump (per favore non dite che non ci voleva molto). Tappeto rosso, stretta di mano, passeggiata nella Bestia, bacetti con la bocca a culo di gallina che rende bizzarro e ridicolo il modo di parlare del Commander in chief, poi varcata la frontiera dell’Alaska tutto come prima, peggio di prima. Mentre a Gaza abbiamo assistito a una distruzione sistematica che ha messo Hamas con le spalle al muro, ma non l’ha sradicato. Poi è arrivato il primo aprile, sembrava il classico pesce, però il Liberation day era vero, se ci piace la metafora ittica era l’uscita dello squalo bianco dall’acquario. Inutile riassumere tutto quello che abbiamo visto, raccontato e subito.

Hanno voluto chiudere l’America in sé stessa, per di più trattando gli amici e gli alleati peggio dei nemici e degli avversari, basti guardare ai continui cedimenti nei confronti della Cina che nella campagna delle tariffe ha ottenuto quasi tutto quel che voleva (chips e terre rare che sono i suoi veri punti di forza per la sua nuova sfida industriale e strategica). Forte con i deboli e debole con i forti? Certo l’Unione europea si è mostrata più debole di quanto non sia e non ha difeso a sufficienza i suoi vantaggi competitivi.

Abbiamo assistito a una élite tecnologica arrembante la quale più per interesse che per convinzione si è piegata, penetrando con astuzia la stessa politica. Si è formato un nuovo complesso militar-industriale più potente e inquietante di quello che Dwight Eisenhower aveva denunciato lasciando la Casa Bianca, anche perché quello aveva come bersaglio il comunismo sovietico, il nuovo è partito all’attacco delle regole e del sistema liberal-democratico considerato un fardello del quale liberarsi. Tutto ciò mentre lo stato prendeva via via la sua rivincita sul mercato e il sovranismo colpiva duramente quell’idea di libertà cosmopolita chiamata banalmente globalizzazione. Insomma, anche volendo non c’è stato molto spazio per l’ottimismo, né quello della volontà né, tanto meno, quello della ragione. L’onda populista che certo non si è levata adesso, ma almeno una decina di anni fa, è stata gonfiata politicamente dalla svolta illiberale americana e legittimata con una mano di vernice ideologica, più spessa che una spolverata di calce.


Se applichiamo lo stesso schema mentale, cioè l’ottimismo della ragione, alla realtà che si para davanti ai nostri occhi forse possiamo cambiare idea (almeno in parte). E qui io vorrei sottolineare otto punti che considero i più importanti anche se non i soli.

1 – Cominciamo naturalmente da Gaza. Abbiamo già detto che è un passo avanti importante. Sulla Repubblica di venerdì Lucio Caracciolo lo ha ridimensionato con una serie di argomentazioni da par suo, geopolitiche ça va sans dire. Aveva ragione su molte cose a cominciare dai dubbi sostanziali sul ruolo della Turchia di Erdogan o degli sceicchi del Golfo pronti troppo spesso a cambiar idee e bandiere. Sul Sole 24 Ore Sergio Fabbrini, che pure sostiene il piano arabo-americano, ha messo in luce “la confusione della politica estera” che rende inaffidabile Trump il quale è il maggior garante della svolta. La sua è “una politica estrattiva (la definizione si deve a Marco Buti e Moreno Bertoldi) finalizzata ad arricchire non solamente l’America, ma sé stesso e la sua famiglia”. Bluffando come al solito, ha spacciato per sue idee e proposte che vengono dalla risoluzione della Lega araba approvata l’11 marzo scorso e dalla conferenza promossa dalla Francia e dall’Arabia Saudita a New York il 25 settembre. Comunque sia, ora esiste un percorso e un progetto, se non vogliamo chiamarlo piano, che in modo più o meno tortuoso recupera persino la formula due popoli due stati. Forse verrà fatto saltare dagli opposti estremismi musulmani ed ebraici. Vedremo, prendiamo atto della realtà, qui e ora. Ottimismo della ragione.

2 – In Ucraina non c’è non solo un sentiero, ma nemmeno uno spiraglio. Eppure Trump, mobile come piuma al vento, canterebbe un nuovo Duca di Mantova, vuol dare i missili Tomahawk a Zelenski che aveva svillaneggiato nell’Ufficio Ovale. Si è sentito tradito dal vecchio compare Putin, diranno i suoi nemici. E’ probabile, visto quell’ego gonfio come un otre. Tuttavia adesso dice persino che non lascerà mai sola l’Ucraina e nemmeno la Polonia, la Finlandia, l’intera Europa (forse gli hanno spiegato che non confina con l’Alaska). Un altro punto per l’ottimismo della ragione.

3 – Lo stesso vale per la difesa europea che non c’è, ciò nonostante l’Unione si sta riarmando a passo di corsa. A cominciare dalla Germania, per settantadue anni, dalla sua costituzione del 1950 all’invasione russa dell’Ucraina, culla di tutti i pacifismi e i pacifisti. Dal ritorno dei panzer ai sottomarini, dai droni all’intelligenza artificiale la rapidità della svolta ha sorpreso persino gli stessi tedeschi.

4 – I dazi non ci rendono ottimisti, ma è una politica tanto confusionaria, imprevedibile, azzardata che sta spingendo tutti a trovare più scappatoie possibili, quelle a lungo termine come le furbizie mercantili (per esempio assorbire la tassa esterna a scapito dei profitti interni pur di non aumentare i prezzi e non perdere quote di mercato). Non può durare a lungo, sia chiaro, perché così facendo le imprese rischiano di fallire, eppure oggi come oggi hanno abbastanza fieno in cascina per non morire di fame, hanno accumulato liquidità sufficiente da resistere abbastanza a lungo, forse un minuto più di Trump che vede erodere i suoi consensi e in vista delle elezioni di medio termine il prossimo anno deve stare attento a non infiammare l’inflazione e a non penalizzare le aziende americane che importano dall’estero. L’autarchia è una folle illusione, The Donald, quello degli affari e del proprio portafoglio, lo sa bene anche se recita a favore della claque Maga. Wait and see, soprattutto non mollare.

5 – La stretta interna, illiberale se non proprio autocratica, resta allarmante. Che fine ha fatto l’America di noi baby boomers, quella dei jeans, della Coca, ma anche di Martin Luther King e di Woodstock? Non ci resta che piangere? Ma no, la battaglia è aperta, la divisione dei poteri regge ancora e si fa sentire. Il Congresso messo ai margini vuol rialzare la testa (e ciò vale anche per i repubblicani che non hanno portato il cervello all’ammasso); la Federal Reserve guidata da Jerome Powell nominato da Trump non molla e decide ancora in autonomia; la Guardia nazionale per ora fa la guardia ai giardinetti. Il presidente la manda in Illinois per contrastare il magnate democratico che governa lo stato, J. B. Pritzker la cui famiglia possiede la catena alberghiera Hyatt e ha tanti soldi quanto Trump e forse di più (per questo lo odia con il più profondo dei suoi tanti odi). Che la festa cominci.

6 – E la tecno-élite, non ha forse preso il potere? Per ora ha preso un mucchio di quattrini dai contribuenti americani che non se ne sono accorti, ma prima o poi lo scopriranno. Sofisticati ideologi come Peter Thiel e Alex Karp vivono ormai di appalti pubblici. La stessa intelligenza artificiale che sta ingoiando quantità enormi di capitali e di risorse energetiche, a mano a mano che avanti tende a sfuggire al predominio dei Magnifici sette. E’ bastata una variante come la cinese DeepSeek meno potente, meno affidabile, ma anche meno cara e più facile, per far tremare Wall Street. La diffusione della OpenAi apre campi finora inesplorati. Sorgono start-up che diventano competitive anche in Europa come la francese Mistral e la tedesca Helsing. Non solo, la coalizione tra tecno-élite e Maga che ha portato Trump al potere scricchiola ogni giorno di più. Le forze produttive rimettono di nuovo in discussione i rapporti di produzione.

7 – E l’Italia? L’Italia va, gli italiani si danno da fare, l’industria soffre, ma non molla, il governo non fa molto, meglio così, evita di fare del male e cerca con successo di risanare i conti pubblici. La ripresa seguirà come l’intendenza del generale de Gaulle?

8 – Non possiamo non finire con la spinta autoritaria che si diffonde ovunque. L’onda populista è stata convogliata verso un nuovo “principio del capo”, il “popolo sovrano” cede le sue prerogative nelle mani di una personalità carismatica. S’è già visto un secolo fa e la storia sembra ripetere vichianamente i suoi cicli. Tuttavia non siamo di fronte all’eterno ritorno, bensì a una miscela in parte nuova, una “confusa rivolta” contro lo spirito dei Lumi, liberale o socialista che sia, secondo Isaiah Berlin che l’aveva intuita anzi tempo. Una volta tanto devo dar ragione ad Alessandro Baricco (che non è esattamente un mio guru) quando sulla Repubblica di giovedì scorso invita a non chiudere gli occhi, ma al contrario spalancarli di fronte al mondo nuovo, quello tecnologico, sociale e politico. L’incubo autoritario anzi autocratico resta, allora dobbiamo svegliarci. E qui l’ottimismo della ragione deve lasciare spazio all’ottimismo della volontà.

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