C’è un Gaucci che sogna un miracolo

Riccardo e l’Assisi: “Il nostro modello è il Como con un progetto che unisce il lato sportivo e la valorizzazione del territorio. Loro hanno il lago, noi San Francesco”. L’obbiettivo è semplice: portare la squadra all’altezza del brand della città, quindi in Serie A

Sogna di giocare contro Juventus, Milan e Inter, ma intanto sono altre le squadre che gli turbano il sonno: Torgiano e Campitello, che insieme alla sua Assisi, sono a punteggio pieno dopo cinque giornate, Promozione umbra. Riccardo Gaucci, secondogenito di Luciano, mitico patron del Perugia a cavallo (termine azzeccatissimo) dei millenni, due anni fa ha raccolto da terra la bandiera della cittadina famosa per quel suo figliolo, battezzato Giovanni ma ribattezzato Francesco dal padre, che predicava amore, obbedienza e umiltà. “Ecco – dice Riccardo – l’umiltà francescana non ce l’aveva mio padre, non poteva certo trasferirla a me”. L’Assisi calcio era fallito (succede a molti), insieme a un gruppo di amici e imprenditori hanno deciso di iscriverlo all’ultima categoria, la seconda. Due campionati vinti di fila, per il terzo c’è solo da aspettare: “Quando abbiamo rifondato la società, non avevamo nemmeno i palloni. Oggi, modestamente, abbiamo preso gente come il figlio di Ravanelli, Ventanni e Gramaccia”. Ah beh….

L’obbiettivo è semplice: portare la squadra all’altezza del brand della città, quindi in Serie A. I 5 milioni di turisti annui che vengono a visitare i luoghi del Giullare di Dio (il 2026 sarà l’800esimo anniversario della morte, saranno esposte al pubblico – privilegio finora riservato solo ai frati – le Sacre Spoglie, il 4 ottobre è ridiventata Festa nazionale) mettono Assisi in cima a tutte le classifiche, in quanto a brand. “Il nostro modello è il Como, dove c’è un progetto di marketing che mira a unire il lato sportivo e quello della valorizzazione del territorio. Loro hanno il lago, noi il Santo”.

In due anni di soli successi, comunque, ha già cambiato tre allenatori, al dna non si sfugge: “Ma nooo, è che per chi viene dal calcio giocato, come me, è più facile capire lo spogliatoio, basta uno sguardo basso, una parola detta o taciuta, per capire cos’è che non va. A volte si cambiano i giocatori, altre gli allenatori”. Riccardo è stato un calciatore. Due scudetti con la Primavera del Perugia (poi uno anche con il Perugia calcio a 5), in A non ci è arrivato per poco, convocato in Perugia-Reggiana, senza debuttare. Una promessa, non mantenuta. Quando lo richiese il Carpi, in Serie C, papà Luciano, come tutti i genitori, lo mise davanti al bivio. Solo che i nostri ci dicevano: o continui a studiare o vai a lavorare. Big Luciano invece disse a Riccardo: “A Carpi non ti ci mando, scegli: continui con il Perugia in Serie A, da calciatore o da dirigente”. Scenario win-win. Scelse la seconda strada. “Quanti rimpianti, a quell’età mi sentivo di essere un calciatore all’altezza, ma il calcio è rimasto il mio compagno di vita e il mio lavoro”. È andato a dirigere la Viterbese, il Catania (promosso in Serie B), poi a Malta: “Conobbi il segretario della Floriana. Laggiù il club appartiene ai tifosi, mi elessero, abbiamo vinto scudetto, coppa e supercoppa nazionale, fino ai preliminari di Europa League”.

Poi il ritorno in Italia e ora Assisi. Per parlare dell’eredità di papà Luciano, bisogna distinguere: “Dal punto di vista finanziario ha prodotto un disastro senza fine, io e mio fratello Alessandro (che ha il Marbella, Segunda division spagnola) siamo anche passati per il carcere (associazione a delinquere, bancarotta e occultamento documenti contabili nel fallimento del Perugia, l’indulto come spugna, ndr). Dal punto di vista umano, mi ha trasmesso la voglia di sfidare sempre il mondo”. Gaucci padre fu il prototipo del presidente che decide, sbaglia, ci azzecca, paga, tutto di testa e di tasca sua. Come Rozzi ad Ascoli, Anconetani a Pisa, ma anche Sensi a Roma o Moratti a Milano, rappresentavano una città più dei sindaci, figura oggi soppiantata da fondi stranieri invisibili e, spesso, muti: “Altro mondo e altri tempi, li vede i fondi mandare tutti in ritiro in un albergo – non in un hotel – lungo la superstrada E45, con le tapparelle sghembe, così passava la luce dei lampioni? Cosa impossibile anche solo da pensare, oggi”.

Luciano portò il Perugia dalla C alla A, vinse l’Intertoto (eh?), venne squalificato per cavalli regalati a un arbitro, mise la prima donna ad allenare uomini (Morace), provò a tesserare una calciatrice in una squadra maschile (Prinz), fece un Onu bonsai assoldando cinesi (Ma), libici (Gheddafi), giapponesi (Nakata), iraniani (Rezai), coreani (Ahn, licenziato per “irriconoscenza” dopo il gol agli azzurri). Ah già, la Nazionale: il ct attuale Gattuso, così come Materazzi e Grosso, sono creature sue.

Riccardo Gaucci: “A Catania portai un maestro come il gallese John Toshack, che si era seduto sulla panchina del Real Madrid, un giorno dovetti esonerarlo solo perché aveva bisticciato con mio padre, non ricordo più il motivo”. Oggi il Perugia è penultimo in Serie C, la proprietà è di un gruppo argentino, finito chissà come e perché in queste lande. “Passeggiando per corso Vannucci, mi fermano decine di persone e mi dicono di tornare a bordo”. Stai a vedere…

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