La festa del futuro al Maxxi: algoritmi e follia platonica

Dal “Fedro” a ChatGPT, passando per Enel e Iliad: Bayram come esperimento d’intelligenza collettiva nel cuore di Roma

Il futuro è già qui, ha scritto William Gibson, solo che non è stato ancora equamente distribuito. Una distribuzione visionaria, psichedelica e funambolica del futuro è andata in onda nell’ambito di Bayram, il 4 ottobre: né mostra, né convegno, né conferenza, quanto piuttosto porosa intelligenza collettiva dipanatasi al Maxxi di via Guido Reni. Tre sale, decine di relatori, attinti tra storici, filosofi, saggisti, giornalisti, uomini delle istituzioni, artisti, teologi, informatici, folli, perché come scriveva Platone nel ‘Fedro’ la follia è la via di accesso privilegiata al sacro. Quasi duemila i partecipanti. La sagoma marmorea, algida e cyberpunk del Maxxi, sulle cui vetrate si infrangono i piacevoli raggi di sole di una giornata freddina, impegnativa per l’ordine pubblico tra cortei e partite di calcio, diventa la casa materna ed elettronica di uno spazio in cui cosmopolitica, tecnopolitica e accelerazionismo si congiungono in una danza alchemica. Si dia atto del coraggio a Sebastiano Caputo, al gruppo editoriale Magog e a Dissipatio per aver allestito, con prestigioso e prezioso sostegno di Enel, “Ifis Art” di Banca Ifis, Iliad, Intesa San Paolo, Poste Italiane e patrocinio di Ministero della Cultura, Regione Lazio, Comune di Roma, ESA, Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, una di quelle occasioni che nei Paesi civili non susciterebbero notizia e che invece in Italia notizia lo sono, eccome.

C’è il futuro, un tempo sospeso e cristallizzato, che si dipana tra le sale e nelle parole, tra alto e basso, tra pop e istituzioni, tra norme e accelerazioni tech. L’abisso algoritmico dentro cui guardare e da cui venir guardati di ritorno, nella stratificazione di una cyber-geologia nel cui nome incastellare cybersicurezza e perimetri cibernetici, cosmismo russo e Silicon Valley, geopolitiche dell’intelligenza artificiale e Digital Death, fantascienza cinese e divinità. Ci sono Luca Josi, Antonio Funiciello, Barbara Alberti, Guidalberto Bormolini, Guido Maria Brera che colloquiano, sotto gli auspici di Sebastiano Caputo e Giulia Bonaudi, sulla fondazione di un nuovo patto generazionale. Ci sono, appunto, generazioni cosmiche e mondi lontanissimi, esplorazioni spaziali e ricadute nel vortice carnicino di un presente inconoscibile, scandito dal ghiaccio dei semiconduttori e dalle luci rosso-azzurrognole dei droni e degli Llm. Roberto Vittori, Bruno Frattasi, Manuela Cacciamani, Chantal Delsol, Corrado Giustozzi, Francesca Cipollini, guidati da Sveva Biocca e dal demiurgo Caputo, dialogano sulla mitopoiesi del futuro, sulla conquista penetrativa nel cuore di tenebra di cosmi e crepacci tecnologici. Umanisti, tecnici e filosofi, tra cui Lucrezia Ercoli, direttrice artistica di Popsophia, si intersecano dialogicamente sulla via italiana all’intelligenza artificiale. Si illustra a sconcertata ma attenta e assai numerosa platea il trionfo del cosmismo russo, di questa prometeica teurgia incuneatasi dal messianismo russo alla mente dei sovietici, prima, e di Putin poi, e lo fa abilmente Carolina De Stefano, mentre Alberto Giuliani, autore di “Gli immortali” (Il Saggiatore), parla di immortalità biologica e Ersilia Vaudo, dell’Esa, richiama all’ordine gli slanci sovente interessati di techbro e futurologi. Il filosofo-ingegnere Riccardo Manzotti illustra il suo volume “Sono libero, o non sono” (Liberilibri), disputandone con Mattia Ferraresi, Ginevra Leganza e Michele Silenzi. C’è Nuccio Bovalino a presentare il suo libro psico-memetico “La Gaia incoscienza” (Luiss University Press), dispositivo letterario in cui iperstizioni alla Nick Land e Dark Maga si fondono per spiegare il tempo politico americano, quindi universale. Ne parlano con lui, giustamente, il direttore editoriale Daniele Rosa, primo tra tutti ad aver portato Nick Land e la scuola di Warwick tra di noi, Ranpo Fahrenheit, tranquilli, non è il suo vero nome, de “Il Blast” e di “Proiettili”, rivista accelerazionista capitolina e il giornalista di La 7 Giovanni Marinetti. La tecno-geopolitica va per la maggiore: Gilles Gressani, direttore di Le Grand Continent e Lorenzo Castellani presentano “L’impero delle ombre” (Gallimard), seguiti da Alessandro Aresu che, partendo dal suo recentissimo “La Cina ha vinto” (Feltrinelli), tira fuori dal sino-cilindro il machiavellico genio di Wang Huning.

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