Il Pd stretto tra Landini e “compagno” confindustriale Orsini

Il leader del sindacato prepara l’autunno rosso, mentre il Pd (con Andrea Orlando) sul tema imprese dibatte con i diretti interessati

La grancassa c’è, Maurizio Landini pure: se il governo non ci ascolta, dice il leader Cgil alla vigilia dell’incontro con Giorgia Meloni (domani), sarà (di nuovo) mobilitazione. L’autunno rosso lo si vorrebbe avviare, dal lato sindacato, con la manifestazione del 25 ottobre, convocata per “dare continuità” a quelle precedenti. E, nel giorno in cui il governo discute di manovra (ieri), la road map sindacale si colora di grandeur: “Proporremo un contributo di solidarietà sulle grandi ricchezze”, dice Landini in sella al suo cavallo di battaglia: “Il 50 per cento della ricchezza di questo paese è in mano a non più del 5 per cento dei cittadini italiani”. E dunque: redistribuzione, redistribuzione, redistribuzione.

E però, a sinistra, non soltanto in Landini oggi si spera. Anzi. Un’insospettabile figura s’avanza, seppure forse per eterogenesi dei fini, sulla strada che il Pd vorrebbe percorrere da qui alle elezioni del 2027, e quella figura, lungi dall’essere un tonitruante esempio di loquacità sindacale o un idolo di piazza, risponde al nome di Emanuele Orsini, presidente di Confindustria ultimamente non tenero con il governo. Ed è qui che il suo cammino si incrocia con quello dell’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando, l’uomo che per il Pd da mesi gira, va e vede gente sul tema sviluppo, politiche industriali ed energia. E ci sono temi, e momenti, che vedono convergere pensieri e parole sullo stesso terreno di punzecchiatura (nel caso degli industriali) o di critica (nel caso del Pd) del governo di centrodestra, tanto che ieri Orsini, mentre la maggioranza si riuniva per mettere testa alla manovra incombente, diceva “lasciamoli lavorare, il governo crede nelle imprese”, e la frase pareva quasi una compensazione dopo i mesi in cui, sul versante Confindustria, il tono era d’allarme: “Le imprese devono essere al centro”, diceva infatti il presidente degli industriali; e ancora: “Francia e Germania stanno investendo per sostenere le imprese”; e ancora prima, in piena crisi dei dazi: “Non ci serve un ministro da copertina più bella d’Europa, ma misure serie”, il tutto mentre Adolfo Urso, dal vertice del dicastero delle Imprese e del Made in Italy, annunciava “un libro bianco e una nuova politica industriale”.

Non a caso, dunque, sul versante Pd, Orlando – che ieri invitava la destra a non coprire con “cretinate” sul paventato “golpe finanziario” i tagli alla spesa – durante la presentazione del Libro verde per le politiche industriali, nel corso dell’estate, aveva invitato Orsini a dibattere al cospetto dei dem di ogni corrente. E Orsini si era presentato. D’altronde, linee comuni, pur nelle differenze, si potevano trovare non soltanto sul tema condiviso in chiaro, quello del sostegno alle imprese, ma anche sui terreni più scivolosi dell’energia, del green deal, dei fondi Pnrr. E si continua fino a oggi: ecco la festa dell’Unità tematica del Pd a Pescara, tematica proprio su sviluppo e industria, con Confindustria ospite. Ecco gli incontri di Orlando a Firenze e a Milano con gli imprenditori della moda, allarmati più che mai per “il sistema italiano sotto attacco”, come diceva due giorni fa il presidente di Confindustria Moda Luca Sburlati, chiedendo “un piano strategico nazionale per la moda al 2035”.

Intanto, nello stesso giorno, Orlando ricordava, in un video sui social, che con il governo Draghi era stato messo in piedi il lavoro “per un grande investimento finanziato dal Pnrr che si chiamava Gol, Garanzia Occupabilità Lavoratori”. Uno strumento di politiche attive che si accompagnava al Fondo nuove competenze”, diceva l’ex ministro, “con circa 5 miliardi di euro di fondi Pnrr, rivolto in particolar modo alle donne, ai giovani, ai lavoratori over 55, ai lavoratori in cig, ai lavoratori poveri, ai Neet. L’obiettivo era intervenire con percorsi mirati attraverso formazione e riqualificazione dei lavoratori e favorire un miglior incrocio domanda-offerta di lavoro. Esattamente ciò che manca oggi e che le imprese chiedono con decisione”. Solo che poi, notavano i dem, “il governo Meloni ha restituito 1 miliardo perché non è stato in grado di spendere tutti i fondi”. “Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti l’ha detto in altre parole”, dice oggi Orlando, “le politiche industriali le devono fare gli imprenditori. Peccato che nel resto del mondo stato e imprese, concertando tra loro, fanno le politiche industriali”. E così, mentre Landini scrive alla Ue per sabotare il progetto del ponte di Messina, il Pd, sottotraccia, chissà, quasi quasi si ritrova a sognare la complicità di uno strano “compagno” di nome Orsini.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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