218 deputati è il numero da raggiungere ed è molto vicino. Lo speaker della Camera si sta mettendo di traverso in ogni modo per insabbiare la questione, ma gli oppositori, tra cui Marjorie Taylor Greene, non mollano
La vicenda della petizione lanciata dal deputato repubblicano dissidente Thomas Massie e dal suo collega dem Ro Khanna riguardo alla pubblicazione dei file relativi al processo Epstein sta diventando sempre più pesante per lo speaker della Camera Mike Johnson. La vicenda è semplice: lo scorso 23 settembre è stata eletta la deputata Adelita Grijalva in un’elezione supplettiva in un seggio blindato in Arizona che per lungo tempo è stato tenuto dal padre Raul, morto qualche mese fa. Una vittoria schiacciante, con oltre il 70 per cento dei voti, che avrebbe portato la firma numero 218 sulla petizione che avrebbe obbligato la Camera a prendere in esame la proposta, grazie alla firma posta da quattro esponenti repubblicani: il già citato Thomas Massie più tre pasionarie trumpiane di vecchia data come Nancy Mace, Marjorie Taylor Greene e Lauren Boebert che sulla vicenda hanno rotto con la Casa Bianca.
Greene, delle tre esponenti di destra radicale, è quella che sta diventando sempre più critica del presidente, tanto che si è unita ai dem nel denunciare la strage di palestinesi a Gaza e l’inazione del suo partito nel calmierare i premi delle assicurazioni sanitarie. Nonostante le pressioni, i quattro non mollano. Rimangono in lista insieme all’intero gruppo dem, composto da 213 deputati. Con il giuramento di Grijalva, sarebbero 214. Più i quattro repubblicani, 218. Il numero minimo per fare discutere la petizione anche contro il volere dello speaker Johnson. Che nel frattempo si sta mettendo di traverso in ogni modo. Per prima cosa, non sta tenendo una seduta pro forma per consentire alla deputata neoeletta di prendere il suo posto, dopo che per giorni diceva che il voto doveva essere conteggiato nella sua totalità, nonostante il risultato fosse stato subito chiaro. Poi ha dichiarato che siccome dal 1° ottobre è in corso uno shutdown, la Camera non si riunirà almeno fino a lunedì 13. Senza cercare precedenti remoti, lo scorso primo aprile due neoeletti repubblicani della Florida, i deputati Randy Fine Jimmy Patronis sono stati inaugurati nel giro di 24 ore. La speranza dello speaker, infatti, è che uno dei quattro repubblicani cambi idea e tolga uno dei voti decisivi. Ipotesi che mano mano diventa sempre più lontana. “Non siamo sempre stati contro i pedofili e chi li nasconde?” ha dichiarato Marjorie Taylor Greene. E tutti, privatamente o pubblicamente, hanno fatto capire che non si muoveranno di lì. Johnson ha sempre detto di preferire il lavoro di una commissione d’inchiesta apposita che oscuri in modo mirato la diffusione di eventuale materiale pedopornografico e che citi il nome delle vittime del controverso magnate pedofilo newyorchese coperte dal segreto istruttorio.
La tesi degli oppositori è che invece questo lavoro di occultamento riguarda il coinvolgimento di Trump. Anche qualora non fosse vero, se per anni i seguaci della teoria cospirazionista di estrema destra hanno visto la famigerata lista di Epstein come una sorta di scrigno di copertura del cosiddetto Deep State per l’èlite dem, oggi la situazione si è completamente ribaltata e lo testimonia l’impegno totale di Johnson sulla vicenda che ha raggiunto ormai livelli degni del teatro dell’assurdo, con scuse di ogni tipo per non far scattare la firma numero 218 sul’ormai celebre petizione lanciata da Massie e Khanna. Una vicenda che più si cerca di insabbiare più rimane in sottofondo a dare fastidio a un Trump che per anni l’ha usata senza scrupoli contro i dem e ora si ritrova quattro suoi ex seguaci contro che potrebbero fare esplodere una nuova mina politicamente pericolosa. E il 21 ottobre esce il controverso memoir scritto da Virginia Giuffre, la grande accusatrice di Epstein e del Principe Andrew del Regno Unito. Per quanto Johnson si impegni, la vicenda è destinata a esplodere comunque.
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