Il ministro dell’Agricoltura va incontro a Confindustria e corregge gli eccessi del suo provvedimento: riduzione delle sanzioni ed esclusione di reati e metodi pensati per il contrasto alle mafie
L’obiettivo del ddl Frodi alimentari (“Disposizioni sanzionatorie a tutela dei prodotti alimentari italiani”) era quello di mettere in riga le imprese, aumentare la trasparenza e punire truffe e scorrettezze. Come però aveva già segnalato il Foglio, il ddl del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida era stato visto dal mondo produttivo come un provvedimento punitivo, pieno di pregiudizio anti impresa e giustizialismo, che aumentava la discrezionalità della magistratura e riduceva le garanzie. Insomma, l’obiettivo era punire chi si comporta male, ma il rischio era che finisse per colpire chi si comporta bene. Per questa ragione, dopo un confronto con le parti, il ministero dell’Agricoltura ha acconsentito all’eliminazione di vari punti del ddl.
Da quello che il Foglio è riuscito a ricostruire, il ministro Lollobrigida si è convinto dopo un incontro con il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, che ha manifestato le perplessità e le rimostranze dell’industria agroalimentare. Così il governo ha acconsentito a tre richieste confindustriali.
La prima è l’eliminazione della “confisca allargata” che – un po’ come accade per la criminalità organizzata – avrebbe comportato la confisca dell’intera impresa e non solo del prodotto eventualmente alterato o con segni mendaci. La seconda è l’eliminazione della possibilità di utilizzare metodi sperimentali di controllo, che il ministero dell’Agricoltura aveva elaborato nella sua cabina di regia, per tentare di scovare i nuovi sistemi di truffa: il metodo era troppo invasivo e riduceva la garanzie. Inoltre si puntava a dare all’Ispettorato del Masaf e ai carabinieri poteri di accesso a tutta la documentazione fiscale e contabile delle aziende alimentari, e il governo ha deciso di metterlo da parte. Infine verrà cancellata l’introduzione del reato di “agropirateria”, intesa come l’impiego stabile di metodi fraudolenti in contesti imprenditoriali organizzati nel campo alimentare, che viene lasciato come aggravante (e non più come nuovo reato). Le imprese avevano anche chiesto di eliminare tra le frodi alimentari il concetto di segni “ingannevoli” che, a differenza dei segni “mendaci” o “falsi”, si presta a molta arbitrarietà e può condurre la controversia su un terreno troppo scivoloso per il diritto penale (a differenza di quello amministrativo, che sul tema è più specializzato).
In generale, si va verso una riduzione delle sanzioni a livelli più ragionevoli e all’esclusione di reati e metodi pensati per il contrasto alle mafie e alla criminalità organizzata, che poco hanno a che fare con l’industria agroalimentare italiana.
In questo contesto di modifiche, il governo è andato anche incontro ad alcune organizzazioni degli agricoltori. Il ddl prevede infatti delle norme che avevano l’obiettivo di dare una cornice di maggiore trasparenza ai Caa (Centri autorizzati di assistenza agricola), che sono un po’ i Caf del settore agricolo. Con l’articolo 15, il ministero introduceva infatti nuovi illeciti amministrativi per il caso in cui i Caa richiedono, in qualsiasi forma, una remunerazione o qualsiasi altro tipo di compenso non dovuti alle imprese agricole per le funzioni per cui i Caa hanno una convenzione con Agea (l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura): il principio è, insomma, che se il Caa riceve già dei fondi pubblici per assistere gli agricoltori, non può farsi pagare una seconda volta dagli agricoltori per quella stessa prestazione. E’ un concetto abbastanza ovvio, che ribadisce quanto è già vietato da un regolamento europeo: il problema è che formalmente non si può fare, ma non esistono delle sanzioni (e quindi lo si fa).
Il governo voleva coprire questo vuoto sanzionatorio, ma ha ricevuto le rimostranze di alcune associazioni degli agricoltori che in genere hanno una rete di Caa: la loro posizione è che il rimborso di Agea previsto dalla convenzione è troppo basso, quindi è necessario chiedere soldi agli agricoltori (anche se non si può fare) altrimenti i conti non tornano.
Bisogna quindi rimediare, ma senza farsene accorgere troppo. Il rimedio è pertanto un emendamento concordato con il ministero, presentato dal senatore Luca De Carlo (FdI), presidente della commissione Industria e agricoltura nonché collega di partito del ministro Lollobrigida, che di fatto svuota le sanzioni: con la nuova formulazione il Caa è multato solo se chiede soldi per una delle cinque attività (aggiornare il fascicolo aziendale) per cui è prevista la convenzione con l’organismo pagatore, ma potrà continuare a farlo per le altre quattro attività. Anche se non si può fare. Basta che gli agricoltori non lo sappiano.